Michael Schumacher, trent'anni fa a Spa la prima vittoria di sempre in F1

Michael Schumacher, trent'anni fa a Spa la prima vittoria di sempre in F1

Il 30 agosto 1992 il pilota tedesco, non ancora "Kaiser", trionfò sull'affascinante circuito belga al volante della Benetton beffando campioni del calibro di Senna e Mansell

Paolo Marcacci/Edipress

30.08.2022 ( Aggiornata il 30.08.2022 11:26 )

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Correva l’anno, è proprio il caso di dirlo, 1992. E qualcuno aveva già cominciato a correre come se non avesse mai fatto altro. Come se nessuno dovesse o potesse insegnarglielo.
È destino che sulle Ardenne, prima o poi, qualcuno debba dare battaglia a qualcun altro. A tutti gli altri, a volte. Anche senza scomodare la Storia con la maiuscola, parlando degli ultimi assalti della Wermacht nel 1944, quando le truppe hitleriane apparivano già destinate alla disfatta e come colpo di colda misero in atto la loro ultima disperata offensiva.
A noi però in queste righe piace rimembrare non i sentieri impervi dove la neve si mescolava al sangue, ma le storie consumate sulla lingua d’asfalto più affascinante al mondo, tra tornanti che sembrano fatti apposta per sgambettare la meccanica in ogni sua componente, persistenze di accelerazione che ululano sul lungo rettilineo e poi il "decollo" magnifico della Eau Rouge, quella curva che sembra proiettarsi verso il cielo, che solo a descriverla ci vuole coraggio, figurarsi a percorrerla, interrogandosi ogni volta su dove inizi davvero e su quando la macchina ne sia uscita del tutto fuori.

È il tracciato di Spa-Francochamps, che due distretti si spartiscono, che le discrete montagne da sopra custodiscono, ammirandolo rapite, mentre le loro gole ingoiano l'eco lussurioso dei pistoni.
Anche quella che raccontiamo noi, in fondo, è una questione tra tedeschi, inglesi e francesi, separati per fortuna solo da una trincea di secondi, da segni gommati che suggeriscono a chi insegue la via di chi fugge, o tenta di farlo.
Poi arriva la pioggia, che in estate è ombra improvvisa sull'asfalto che si fa scuro per la sorpresa; che insinua i suoi rivoli tra le scanalature degli pneumatici appena sostituiti, evaporando poi quando le visiere sembrano già lacrimare difficoltà, appannate come l'orizzonte che si scorge oltre le vette.

Un ragazzone tedesco in mezzo ai campioni

Agosto 1992, sembra non vi sia spazio per altri destini, oltre a quelli segnati dalla frustrazione di Ayrton Senna, nell' annus horribilis della McLaren-Honda e di Nigel Mansell, sempre più "Leone d'Inghilterra" grazie anche alla Williams FW14B, spinta dal propulsore Renault, una macchina che sembra scesa da un'altra galassia, tanto è acclarata la superiorità della sua resa in pista.
Sono accanto in prima fila, i due, il 30 agosto, col gomito dell'autunno che da quelle parti già si pianta nelle costole dell'estate, mozzandole il respiro. Senna in qualifica è stato due secondi più lento rispetto a Mansell: un'eternità di prestazioni li separa.
Dietro di loro, in griglia, accanto all'altra Williams di Riccardo Patrese c'è la Benetton di Michael Schumacher, ragazzone dalla mascella pronunciata, dall'aria gioviale, dalle idee fin troppo chiare: è già molto più di un pilota emergente; conosce già il sapore della ribalta dei piazzamenti, ha pennellato giri veloci scartavetrando millesimi alle traiettorie dei veterani, ma si è già beccato la reprimenda di Senna a Magny Cours.

La pioggia e il destino

Alla partenza, proprio il brasiliano soffia tutta la propria maestria negli scarichi della sua McLaren crepuscolare, riuscendo a scalzare Mansell dalla testa della corsa. Sembra debba essere una questione tra loro, col pilota di San Paolo che deve metterci tutto se stesso per tenere dietro il Leone.
Ma chiedi alla pioggia, come ha scritto qualcuno.
Dopo qualche tornata fioriscono gli ombrelli sulle tribune, si affacciano battistrada scolpiti sull'uscio dei box.
Senna, come ti sbagli, è quello che opta per restare in pista, mentre i suoi collleghi si precipitano a montare le "rain".
Ogni tattica è figlia di un'intuizione e sa essere bugiarda come una scommessa: la sua non pagherà, relegandolo progressivamente nelle retrovie.
Allora tutti pensano che si prepari un monologo di Mansell e delle due Williams, in assoluto. Chi potrebbe pensare a un epilogo differente?
Stavolta chiedi al cielo, ammesso che si lasci interrogare; sempre che tu sia in grado di comprenderne la risposta.
Nuvole e squarci di un sereno opaco; potrebbe non smettere, o se dovesse smettere potrebbe piovere di nuovo a breve. Più che il cielo, allora, forse andrebbe interrogato il proprio destino. Perlomeno, quello che si pensa possa essere il proprio destino di quel giorno, per tutti i giri di cui le montagne debbono ancora ingoiare il frastuono.

Il sapore della vittoria

La Benetton di Michael Schumacher è la prima a montare di nuovo le gomme da asciutto, tra diverse tonalità di grigio sul fondo della pista. Ciò su cui Mansell, Patrese e tanti altri stanno ancora meditando, il ragazzo di Hürst lo sta già facendo: saranno le sue nuove slick a finire di asciugare l'asfalto ancora umido, perché del cielo e del vento non c'è mai da fidarsi del tutto, all'ombra delle Ardenne.
Stavolta è venuto in pace, il tedesco; più veloce di qualsiasi controffensiva britannica, anche quando la minaccia negli specchietti si fa più nitida, giallo ocra e bianco, striato di blu: la Williams di Mansell è tornata alla carica; il ragazzo lì davanti non può saperlo, ma sente che al Leone manca qualcosa.
La Williams di Mansell, creatura perfetta che sembra partorita nel futuro, stavolta ha un problema a uno scarico. Nulla di grave, ma quanto basta per renderla solo un po' meno imbattibile, un po' meno famelica ora che sta inseguendo la Benetton di Schumacher.
Forse ancora meglio della vittoria, quando arriva per la prima volta, è il suo sapore, che il pilota avverte sotto la maschera nelle ultime tornate. Forse ogni pilota vorrebbe rimamere per sempre in quegli istanti, per i quali nemmeno morire sarebbe un prezzo troppo alto.
Sempre più levigata nelle sue traiettorie ormai spavalde, la coloratissima Benetton divora una scena che sembrava destinata ad altre livree; la bandiera a scacchi è la tenda del palcoscenico che si schiude su un'epoca nuova, forse iniziata prima che ogni avversario potesse rendersene conto.

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