Pelé, un anno senza O Rei

Pelé, un anno senza O Rei

Il 29 dicembre del 2022 ci lasciava uno dei più grandi interpreti del futbol. Vera e propria leggenda del calcio, aveva 82 anni

Paolo Marcacci/Edipress

29.12.2023 ( Aggiornata il 29.12.2023 12:01 )

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Quelle due sillabe sono sempre lì, come il ticchettio dell’orologio che ormai lo senti soltanto se decidi di farci caso, ma poi t’accorgi che c’è sempre stato, in sottofondo. Che ti ha accompagnato; che ti accompagnerà. Se ne va soltanto il tempo degli uomini, quella specie di vuoto a perdere che cominciamo a restituire dal giorno in cui vediamo la luce; resta ciò che alcuni di loro hanno fatto per fermarlo, il tempo; soprattutto quando stavano facendo qualcosa per loro stessi senza rendersi conto che lo stavano donando al mondo intero. Qualcuno di loro il mondo lo ha anche conquistato; qualcun altro, ancora più raro, ha potuto ripetere la conquista.

Pelé, due sillabe immortali

Quelle due sillabe sono ancora lì, morbide come i rimbalzi attutiti dal piede scalzo di un bambino che nulla sapeva e che così tanto avrebbe conosciuto, ma già sentiva l’istinto di dover proteggere il suo pallone, quale che fosse, dal contatto col suolo che lo avrebbe contaminato; sporcato di affari, di interessi e di politica. A maggior ragione perché il bambino sapeva che quegli affari, interessi, politica lo avrebbero costretto a sporcarsi i piedi.

Non potrà mai trattarsi di un posto preciso, nella memoria: sarà sempre qualche cosa che viene da un altrove lontano, un rullare incessante di tamburi che si alza, come una marea, che spinge su quadricipiti di ricordi, sempre un poco più su di chiunque altro.

Due sillabe da coccolare in eterno, a battimuro verso il palato, come quando le madri si affacciano a richiamare i bambini che all’imbrunire non vogliono saperne ancora di tornare, perché hanno ancora un pezzetto di partita da chiedere alla polvere che impasta il sudore. Come tre Coppe del
Mondo che la prima sente ancora l’eco dei cannoni e l’ultima è già stata sulla luna.

Ovunque ci si troverà, non avremo mai bisogno di una latitudine da precisare: basterà aver posseduto un pallone per schiudere le labbra a quell’accento.

Lo scintillio della gloria non stette molto ad aspettare, sulla sponda opposta a quella della miseria; come se un bambino con gli stracci da lustrascarpe ancora in mano avesse ascoltato una storia dal vecchio sorridente che sarebbe poi diventato: forse ancora si sorprendeva, o forse sapeva già come sarebbe andata a finire, dal rumore che i cenci arrotolati facevano sul collo nudo del piede.

Ogni tanto qualcuno arriverà, sentendosi in dovere di dirci che in fondo è soltanto un gioco; perché ci sono anche quelli che non fanno caso ai fianchi dei tulipani, allo sguardo di una donna in mezzo ad altri mille, al vento che se potesse trasformerebbe in aquiloni le bandierine del calcio d’angolo. Non servirebbe a niente, tentare di spiegargli che Giotto è stato anche nero, quando per i ricchi e per i poveri si vestiva di giallo, col cerchio sempre in equilibrio sul collo di quel piede.

Basterebbe fargli ascoltare i rimbalzi di un pallone, via via più attutiti, che sembrano sussurrare quelle sillabe all’infinito: Pe - lé.

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