Nel Superclásico l'ultimo "tango" di Diego Armando Maradona

Nel Superclásico l'ultimo "tango" di Diego Armando Maradona

Il 25 ottobre 1997, al Monumental di Buenos Aires, la casa del River Plate, andava in scena l’ultima partita del "genio del fùtbol mundial"

Emanuele Iorio/Edipress

25.10.2022 ( Aggiornata il 25.10.2022 10:49 )

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Il “Superclásico” tra River Plate e Boca Juniors è l’evento per eccellenza dell’Argentina, il derby per antonomasia, una rivalità eterna tra le due squadre più titolate e più popolari della nazione, i “Millonarios” contro gli “Xenèizes” (i ricchi contro gli immigrati genovesi). Anche se ormai da tanti anni non è più uno scontro ideologico tra borghesi e proletari, l’odio sportivo tra le due compagini della capitale è comunque rimasto inalterato nel tempo. Quello del 25 ottobre 1997 però non fu un “Superclásico” come gli altri, perché quel giorno Diego Armando Maradona aveva deciso di recitare il suo ultimo ballo sui campi da calcio. Essendo Diego uno degli dèi pagani di questo sport (al pari di Pelè, Alfredo Di Stefano, Johan Cruyff e pochi altri eletti), per il suo definitivo addio alle scene aveva necessariamente bisogno di una location di un certo spessore, di un pubblico pronto per le grandi occasioni, per dare il giusto commiato alla sua immensa carriera, davanti alla sua gente: il derby tra Boca e River si prestava perfettamente all’occasione, e non ci potevano essere altre opzioni nella testa di Diego.

Maradona ovviamente gioca per gli Azul y oro, dove già all’inizio degli anni Ottanta aveva contribuito a deliziare il pubblico della Bombonera con la sua classe già immane, anche se la partita-evento si gioca al Monumental, la casa del River, ma tanto per una (ed unica) volta si può riporre l’ascia di guerra per salutare il più grande di tutti, anche se gioca dalla parte dei “nemici”. Inutile sottolineare che quel giorno erano presenti più giornalisti e fotografi del solito, tutti pronti ad assediare con i loro scatti il “Diez” per la sua uscita di scena dai campi di gioco. Prima dell’inizio del match, Diego fa due gesti più che eclatanti: alza i pugni al cielo e poi si fa il segno della croce. Il Maradona politico, il terzomondista schierato dalla parte dei più deboli, amico di Fidel Castro e Hugo Chavez, e nemico dei potenti della Terra, dei presidenti americani e della corrotta Fifa, è assolutamente inseparabile dal Maradona giocatore, e viceversa. Il Maradona credente, invece, dichiara questo: “È Dio che mi fa giocare bene. Mi faccio sempre il segno della croce quando scendo in campo. Se non lo facessi, lo tradirei”. La consapevolezza di essere una “divinità minore” al cospetto del Padre.

Diego gioca una partita modesta, senza grandi acuti e senza azioni di rilievo, venendo sostituito già alla fine del primo tempo dal suo grande amico Claudio Caniggia: era ormai un ex-calciatore dal 1994, anno della squalifica di 18 mesi per efedrina ai Mondiali statunitensi. Maradona sapeva bene, nel crepuscolo della propria carriera, di poter contare solo sulla sua immagine e sul suo mito per attirare folle oceaniche di persone. Gli bastava unicamente la presenza fisica, corporale, per suscitare ancora emozioni, urla, gioia e commozione, ed è anche questa una delle ragioni della sua grandezza.

Per la cronaca la partita finì 2 a 1 per il Boca, che riuscì a rimontare lo svantaggio iniziale segnando due reti nel secondo tempo (quella decisiva la siglò un giovanissimo Martin Palermo). Intervistato a fine gara, Diego dichiarerà: “Il Boca ha giocato come il Boca, e il River era il River. Hanno giocato un grande primo tempo, ma poi gli si sono calate le mutande.” Mitomania pura, come si addice a un mito(mane) come Diego.

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