Rummenigge e l’Inter: storia di un’incompiuta

Rummenigge e l’Inter: storia di un’incompiuta

Arrivato a Milano per riportare in alto i nerazzurri, non riuscì a replicare i successi che aveva ottenuto con il Bayern Monaco. Con i tifosi, però, instaurò un rapporto che rimane vivo ancora oggi
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Il 29 marzo 1984 è una data da segnare col cerchietto rosso nell’affascinante storia della Milano nerazzurra. In quella giornata ancora invernale, sulla pista dell’aeroporto di Linate riservata al traffico privato, poco dopo le 13 atterrò il jet proveniente da Monaco di Baviera che portava in Italia Karl Heinz Rummenigge, il miglior giocatore della Germania Ovest dell’epoca. Un acquisto fortemente voluto da Ernesto Pellegrini, da poche settimane succeduto a Ivanhoe Fraizzoli alla presidenza dell’Inter, che con l’arrivo dell’attaccante tedesco esibiva ai suoi tifosi un biglietto da visita segnato dall’ambizione di riportare il club ai fasti di qualche anno addietro.

 

 

 

 

Stella del Bayern Monaco

Del resto, Kalle (questo il suo soprannome) era nel pieno della sua carriera, nella quale aveva brillato per dieci anni come stella di prima grandezza del Bayern Monaco, club in cui si era trasferito nel 1974. Una scelta che diceva molto del suo futuro, dal momento che in quella squadra giocavano personaggi del calibro di Maier, Beckenbauer, Schwarzenbeck, Hoeness e Gerd Müller, un ambiente nel quale era possibile emergere solo se si era in possesso di qualità che, evidentemente, Rummenigge aveva. Anche se, per ovvie ragioni, la sua personalità era ancora in via di formazione. Nella prima stagione Kalle scese in campo in 28 occasioni, andando in gol 6 volte e dando il suo contributo alla conquista della Coppa dei Campioni. Fu un anno di apprendistato, nel quale il giovane Rummenigge cercava di imparare il più possibile dai suoi affermatissimi colleghi. Gente tosta, che però, per questioni anagrafiche, capiva che stava arrivando il momento di passare il testimone. Un’eredità pesante, che solo giocatori già svezzati potevano riuscire a sostenere. Forse Kalle non lo aveva compreso bene se Franz Beckenbauer, sollecitato a rispondere a una domanda sul futuro del Bayern Monaco, rispose così: “C'è qualcuno qui che ha le qualità per diventare un leader, solo che è ancora un po' stupido". Parole sferzanti che, però, ebbero un effetto decisivo sulla crescita di Rummenigge, che dalla stagione successiva divenne un punto fermo dei bavaresi, lanciati nella conquista di una nuova Coppa dei Campioni, la terza consecutiva.

 

 

 

 

L’esperienza con la Nazionale

Arrivò, così, anche la chiamata in Nazionale, nella quale l’esordio avvenne in un’amichevole vittoriosa (2-0) giocata a Cardiff contro il Galles il 6 ottobre 1976. Fu l’apertura di un capitolo importante nella carriera di Rummenigge che lo portò ad affermarsi a livello globale già in Argentina nel 1978, dove realizzò una doppietta nella goleada contro il Messico (6-0) e una rete nella sconfitta patita contro l’Austria (2-3), che impedì ai tedeschi l’accesso alla finale per il terzo posto. Gol che arrivarono dopo il primo in assoluto che Kalle segnò proprio all’Italia in un’amichevole giocata a Berlino l’8 ottobre 1977, vinta 2-1 dalla Germania Ovest. Una nazione che, in futuro, regalerà soddisfazioni (con l’Inter) e dolori. Fu la nostra Nazionale, infatti, a negare all’attaccante tedesco il titolo di campione del mondo l’11 luglio 1982. Uno smacco che, nella sua consueta signorilità, Rummenigge riconoscerà come meritato. Ma fu comunque in Italia che Karl Heinz raccolse il suo unico trionfo con la Mannschaft, agli Europei del 1980, quando il cielo di Roma fece da cornice al suo sorriso dopo la vittoria della finale contro il Belgio. Probabilmente, fu proprio in quegli anni di passaggio tra un decennio e l’altro che Kalle raggiunse l’apice del rendimento, arrivando secondo nella classifica del Pallone d’Oro nel 1979 e vincendolo nei due anni successivi insieme alla Bundesliga e al titolo di capocannoniere del campionato.

 

 

 

 

Il sì a Mazzola

Quando, in quel 29 marzo 1984, giunse a Milano, Rummenigge sapeva di essere arrivato a un punto cruciale del suo percorso professionale. Ventinovenne, con dieci anni di successi con il Bayern Monaco alle spalle, cimentarsi con quello che, al tempo, era il campionato più bello e difficile del mondo, era una sfida che bisognava affrontare per consacrarsi ad altissimo livello. Anche Juventus e Fiorentina avevano provato a convincerlo ma lui voleva l’Inter, la squadra che lo aveva affascinato da bambino insieme a Sandro Mazzola, il ds che lo aveva cercato e al quale non avrebbe saputo dire no. C’era un tono di affetto nella sua scelta che ne umanizzava i contorni, oltre alla già accennata signorilità dei modi che, in campo, si tradusse in una sola espulsione in quasi 600 partite giocate con Bayern, Inter e Servette, il club svizzero con il quale chiuse la carriera nel 1989.

 

 

 

Con lui, l’attacco dell’Inter, che già disponeva di un centravanti come Altobelli, si arricchiva di un patrimonio fatto di potenza, acrobazia e capacità tecniche. Rummenigge, infatti, sapeva tirare con ugual precisione di destro e di sinistro, con una forza che gli permetteva di essere micidiale anche nelle conclusioni dalla distanza. Era un attaccante completo, anche altruista. Doti che lo legarono immediatamente al pubblico di San Siro, nonostante un’anomala astinenza da gol che, in campionato, si protrasse fino all’11 novembre 1984 in un derby d’Italia trionfale per l’Inter, che inflisse alla Juventus campione in carica un mortificante 4-0. Kalle fece una doppietta, lasciando sullo sfondo i primi dubbi che si erano sollevati dopo che, nelle prime sette giornate, il suo nome non era ancora stato appuntato sul tabellino dei marcatori.

 

 

 

 

Gli infortuni e l’addio all’Inter

Nonostante gli intenti, i suoi anni milanesi non arricchirono la bacheca nerazzurra. Colpa della concorrenza, di un’Inter ancora imperfetta e di una condizione fisica che, spesso, ne limitava il rendimento. Rummenigge accusava spesso problemi muscolari che, su una struttura potente come la sua, erano lenti a guarire e veloci a ripresentarsi. All’Inter seppe dare lustro ai mondiali del 1986, quando la Germania Ovest si ripresentò in finale per dare l’assalto alla sua terza Coppa del Mondo, fallito nonostante un suo gol, quello che riaprì la partita contro l’Argentina alla mezz’ora della ripresa. Una rimonta inutile, quella dei tedeschi, che anche in Messico dovettero soccombere, come quattro anni prima, al miglior stato di forma dei loro avversari. Al suo rientro a Milano, Rummenigge trovò Giovanni Trapattoni. Sembrava arrivato il momento di vincere anche con i nerazzurri se non fosse nuovamente caduto nelle trappole di un fisico sempre più logoro che, nella stagione 1986-87, lo tenne lontano dai campi di gioco per quasi tutto il girone di ritorno. E, di conseguenza, da un rinnovo contrattuale che non serviva all’Inter del Trap, che stava ponendo le basi per vincere lo scudetto due anni più tardi. Al suo orizzonte rimanevano ancora due stagioni al Servette e un legame con la Milano nerazzurra che, ancora oggi, dà emozione alle sue parole.

 

 

 

 

 

 

 

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