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Martedì 23 febbraio 1982 una criticatissima Italia perde per la prima volta dopo sessantadue anni contro la Francia, in un'amichevole di avvicinamento al Mundial di Spagna giocata al Parco dei Principi di Parigi. In un centrocampo di straordinario tasso tecnico giostra con Giresse e Platini l'agilissimo Jean Amadou Tigana, che al 19esimo ruba un pallone a Dossena e ispira il gol del vantaggio del futuro numero dieci juventino. Bearzot, che non può immaginare che di lì a pochi mesi sarà campione del Mondo, dice “se potessi cambierei tutta la squadra”. I francesi se la ridono: con quell'ossatura arriveranno quarti in Spagna, anche se delusissimi per la sconfitta nella “battaglia di Siviglia” in semifinale contro la Germania, vinceranno l'Europeo 1984 e poi saranno terzi a Città del Messico. Un trionfo per un movimento che ha sempre faticato a imporsi a livello internazionale ma che negli anni Ottanta è finalmente al livello dei migliori. Si dice che il ventisettenne Tigana imponesse un diktat al suo Ct Hidalgo, “O titolare o in tribuna”, ma i dubbi sul suo ruolo di primo piano nel calcio francese dell'epoca sono pochissimi.
Nato il 23 giugno 1955 a Bamako in Mali, Paese a cui è legatissimo, è soprannominato “gazzella” e il suo fisico minuto e scattante gli permette di muoversi a centrocampo con agilità e ripartire rapido, con improvvise accelerazioni che lasciano di stucco i pari ruolo avversari. Ha un piede minuscolo, numero trentasette: “Piccolo sì, ma spero faccia male ai portieri”. E ama scherzare: “Vincendo il Mondiale toccherei il cielo con le dita. Quasi un miracolo, visto che sono alto appena 1,73” raccontava in un'intervista al Corriere alla vigilia del Mondiale messicano. Comincia la sua carriera sportiva piuttosto tardi, perché da ragazzo fa il pieno di complimenti come colletto blu in una fabbrica di spaghetti di Toulon, piuttosto che sui campi da calcio.
Notato dal modesto Sporting Club, la squadra cittadina che milita in seconda serie, comincia ad allargare i suoi orizzonti anche sul rettangolo verde, ma sino al passaggio a Lione nel 1978 continua ad affiancare la vita da calciatore a quella di operaio e poi postino. Con L'OL entra di slancio nel calcio che conta, esordendo in nazionale nel maggio 1980, ma è con il passaggio ai bianco-malva del Bordeaux nel 1981 che Tigana comincia davvero a fare fortuna. Dal 1983 al 1987 conquista a fianco dei compagni di nazionale Giresse, Lacombe e Battiston quattro campionati consecutivi e in due occasioni raggiunge le semifinali di una competizione europea. Nel 1985 il Bordeaux è eliminato al penultimo atto della Coppa dei Campioni dalla Juventus, due anni dopo dal Lipsia in Coppa delle Coppe: all'epoca due straordinari traguardi per le squadre di club d'oltralpe.
Il più grande successo di quella generazione, ispirata dal talento di Platini, è l'Europeo 1984, il primo grande risultato internazionale dei Bleus dai tempi di Fontaine e Kopa. Paradossalmente, la Francia ama Tigana addirittura più di Roi Michel, tanto che durante il trionfale cammino casalingo nel trofeo continentale spesso è lui il più acclamato dai tifosi. Prima della sfida tra Italia e Francia negli ottavi del Mondiale di Messico 1986, il Corriere fa un sondaggio tra i nazionali azzurri per chiedere chi temano di più tra i transalpini – Platini escluso, ovviamente – e Tigana vince, seppur di misura, sul talento franco-spagnolo del PSG Luis Fernández. Gli anni in fabbrica sembrano lontani secoli. In Messico Jean ha già trentuno anni, ma Platini è certo che quello “Sarà il Mundial di Tigana”, campione che impressiona per la capacità di muoversi box-to-box, per la chiara visione di gioco e gli assist improvvisi e millimetrici. Non ha tuttavia mai fatto gol in nazionale e così promette: “Vedrete, il Messico mi porterà fortuna ed io finalmente segnerò”. Mantiene la parola data nel 3-0 all'Ungheria del 9 giugno 1986, realizzando il suo primo e unico centro in cinquantadue presenze con i Bleus. “Il mio mestiere è quello di far fare i gol agli altri. A ciascuno il suo. Un portiere non è un centravanti e viceversa” ripete spesso con pragmatismo.
Tra i pochi rimpianti di una carriera straordinaria c'è quello di non aver mai avuto chances in serie A: “Venire a giocare in Italia mi piacerebbe molto. Con Platini ne ho parlato spesso, lui mi ha spiegato la bellezza e l'importanza del vostro campionato. Si dice che vincere uno scudetto equivalga a un Mondiale”. Sognando la Capitale: “Vorrei trasferirmi a Roma. Non solo per la città, che trovo meravigliosa, ma anche per il pubblico e soprattutto per il gioco che pratica la squadra allenata da Eriksson”. La moglie di origini sarde avrebbe apprezzato, Platini avrebbe accettato di ritrovarselo come rivale: “Avversari? Pazienza, siamo talmente amici che Michel lo capirebbe”. Nel 1985 è vicinissimo a vestire giallorosso, nel Lecce, ma i cinque miliardi richiesti dal suo presidente allontanano le sirene italiane e il matrimonio non si fa. Jean segnerà poco, ma è talmente creativo e imprevedibile che gli avversari farebbero qualsiasi cosa per non averci a che fare. Nel marzo 1988 il difensore del PSV Ronald Koeman provoca un mezzo scandalo dichiarando al settimanale “Sport Internationals” che l'intervento del suo compagno di squadra Gilhaus che lo ha azzoppato nei quarti di Coppa Campioni è stato premeditato: “Un colpo di classe che ci ha consentito di passare il turno togliendo di mezzo il miglior giocatore dei francesi”. Nel 1989 Tigana lascia il Bordeaux dopo otto stagioni per chiudere la carriera all'ambizioso Olympique Marsiglia di Tapie, vincendo due campionati su due nel periodo in cui il suo amicone Platini è nominato Ct e il campionato francese annega nei debiti. Chiuderà la carriera di calciatore dopo la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni 1991 contro la Stella Rossa, vissuta in panchina per centoventi minuti e successivi rigori, quindi allenerà Lione, Monaco, Fulham, Besiktas e Bordeaux, conquistando una Ligue 1 e una Supercoppa francese nel 1997 con i monegaschi.
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