Bruno Pesaola, una vita tra Napoli, calcio e sigarette

Bruno Pesaola, una vita tra Napoli, calcio e sigarette

Arrivato in Italia sul finire degli anni Quaranta, legò buona parte della sua carriera da calciatore e allenatore alle vicende degli azzurri
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Il 29 maggio 2015 Bruno Pesaola salutava il mondo dalla città in cui aveva deciso di fermarsi a vivere una volta terminata la sua carriera da allenatore, a metà degli anni Ottanta. Napoli, per lui, aveva significato amore e vita sin dal primo momento in cui si erano incontrati. Era il 1952 e, dopo due anni trascorsi a Novara a fornire assist a Silvio Piola per consentirgli di realizzare gli ultimi gol di una carriera straordinaria, Pesaola era cercato dal Milan e dagli azzurri. A indirizzare la decisione fu Miss Novara, la ragazza che stava per sposare, che a Napoli era stata spesso per andare a trovare il fratello che lavorava alla Siae di Pozzuoli. Viaggio di nozze e squadra dove giocare coincisero in un mélange intriso di colori, suoni, immagini e profumi che a un bonaerense come lui non potevano non ricordare il quartiere della Boca. Una Boca con il mare. Amore e vita si fondevano in una città che rubò facilmente il suo cuore generoso e allegro. Negli otto anni all’ombra del Vesuvio si posero le fondamenta di un rapporto viscerale che non venne mai meno, tanto che Pesaola decise di stabilirsi definitivamente in città dopo il suo ritiro dalle scene calcistiche perché, in fondo, lui era “un napoletano nato all’estero”, come disse nel 2009 quando ricevette la cittadinanza onoraria.

 

 

 

 

L’arrivo in Italia

 

Approdò al Napoli nel 1952 dopo due anni a Novara, si diceva. Ma la sua prima squadra italiana fu la Roma, nella quale giocò dal 1947 al 1950. In Argentina si era allenato con Alfredo Di Stefano ed era stato addestrato da Renato Cesarini nel periodo di formazione nelle giovanili del River Plate. Nella Capitale si ambientò bene. Oltre ad avere un buon rendimento in campo, riusciva a frequentare gli attori: Dapporto, Rascel, Walter Chiari. Ebbe anche delle parti nei loro film.

 

 

 

 

 

 

L’approdo a Napoli

 

Ma se Roma fu un piacevole divertimento, Napoli si rivelò un sentimento più profondo. Fu pagato 33 milioni di lire, pochi se confrontati ai 105 che Achille Lauro investì per il centravanti Jeppson. Una cifra monstre, la più alta mai spesa fino ad allora per un calciatore, che serviva a provare la scalata verso lo scudetto e a creare consenso verso il presidente, che era anche il sindaco della città. Bruno, con i suoi dribbling, i suoi cross vellutati, i suoi tiri precisi lasciò un’eredità importante nella memoria del pubblico partenopeo. Col passare degli anni seppe anche modificare il suo ruolo, passando dall’ala alla regia avanzata arrivando finanche a giocare di punta. Un’ecletticità che premoniva le sue doti di allenatore. Lo scudetto non arrivò ma il Petisso, come veniva simpaticamente soprannominato per via della sua non eccezionale altezza, riuscì a essere protagonista di tanti momenti importanti di quel Napoli anni Cinquanta: dal gol all'Inter del 5 gennaio 1958, che per anni fece parte della sigla della Domenica Sportiva, fino all'inaugurazione del San Paolo nel dicembre 1959, quando gli azzurri sconfissero 2-1 la Juventus di Boniperti, Charles e Sivori sotto gli occhi di Gianni e Umberto Agnelli. Un Napoli di cui fu capitano, con il quale concluse la sua esperienza da calciatore nel 1960. All’epoca gli azzurri erano guidati da Amadeo Amedei e tra i due non era mai corso buon sangue. Si rifugiò a Genova, sponda rossoblù, aiutando il Grifone a non retrocedere in serie C nonostante una penalizzazione di sette punti, prima di tornare in Campania e chiudere da giocatore con la Scafatese.

 

 

 

 

 

Il Petisso allenatore

 

È proprio a Scafati che Pesaola inizia ad armeggiare con i sofismi della panchina. E quando, nel gennaio del 1962, il Napoli si trova in difficoltà e rischia di retrocedere in serie C, è lui a essere chiamato per risolvere i problemi. Compito che svolge oltre le aspettative, guidando la squadra verso la serie A e vincendo la Coppa Italia per la prima volta nella storia del club. Fino al 1968 sarà il tecnico dei partenopei (con la sola eccezione dell’annata 1963-64, che lo vide lontano da Napoli per via dei dissapori maturati con il direttore tecnico Monzeglio) che con lui vincono il loro primo trofeo internazionale (la Coppa delle Alpi nel 1966) e raggiungono il secondo posto nel 1968, risultato mai ottenuto in campionato fino ad allora. Per vincere lo scudetto, però, Pesaola deve allontanarsi dalla città amata.

 

 

 

 

 

Lo scudetto con la Fiorentina

 

L’esilio a Firenze si rivela dorato: è lì che il Petisso si fregia del titolo di campione d’Italia con una squadra giovane e frizzante che resterà nella storia come la Fiorentina yè yè. Grazie ai suoi giochi psicologici rigenera Amarildo, nel fumo delle sue infinite sigarette confonde gli avversari. Bluff tra il serio e il faceto che rischiano di costargli una squalifica a vita quando si promette formalmente all’Inter e al Napoli, chiedendo a Ferlaino di acquistare Mazzola, Domenghini e Amarildo. L’ingegnere, però, non ottempera alla promessa, Pesaola rifiuta di tornare sotto il Vesuvio e il presidente partenopeo decide di denunciarlo. A salvarlo è Artemio Franchi, che gli evita guai seri imponendogli in cambio la permanenza a Firenze, dove arriva al riconoscimento del Seminatore d’Oro.

 

 

 

 

 

 

La Coppa Italia a Bologna e l’ultimo Napoli

 

Dopo la Viola, il suo percorso sulla dorsale appenninica procede verso nord, con fermata a Bologna. Quattro anni con i rossoblù (1972-76) portano a un’altra Coppa Italia e alla valorizzazione di giovani come Pecci e Colomba. Ma il richiamo mai sopito di Napoli lo spingerà ad abbracciare ancora gli azzurri. Torna nel 1976-77 e vince la Coppa di Lega italo-inglese, oltre a portare Juliano e compagni fino alla semifinale di Coppa delle Coppe, dove l’avanzata verso il passo successivo si ferma anche per via di un arbitraggio contestato. L’ultima chiamata di Ferlaino arriva nel corso della stagione 1982-83 per ridare vigore a una squadra che sembra destinata alla retrocessione. Missione compiuta, l’ultima ad alti livelli dopo che la sua carriera aveva segnato altri capitoli tra Bologna (1977-79), Panathinaikos (1979-80) e Siracusa (1980-81), prima di dedicarsi al riposo e al godimento di quei piaceri che Napoli gli aveva concesso dal primo momento in cui, in viaggio di nozze, l’aveva conosciuta.

 

 

 

 

 

 

 

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