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Ingarbugliata e sbilenca, come un groviglio di fili apparentemente indistricabili: così appariva la sua corsa, a metà tra elastica e ciondolante; però il modo in cui coccolava la palla lasciava intendere che bastava tirarne uno a caso di quei fili per sciogliere ogni nodo, perché il pallone trovava sempre un sentiero, come fa la luce nelle tele di Rembrandt. Un lungagnone, dall'andatura ciondolante e apparentemente sgraziata - caratteristica che nella Capitale gli varrà una serie di soprannomi che vanno da Tiramolla a Polipo - che diviene però elegante appena l'azione lo coinvolge. Poi, c'era il sorriso, più delicato ancora dei piedi, che è rimasto identico, al punto tale che non si ricorda più se fossimo più affezionati all'uomo o al giocatore. A pensarci bene, già questo è un tributo a entrambi.
Antonio Carlos Cerezo da Belo Horizonte: Toninho, ovvero la fantasia al potere; anzi, meglio: il potere alla fantasia. È questa l'espressione che meglio rispecchia questo grande artista del pallone, maestro del vivere alla giornata.
Quando arriva a Roma, Cerezo ha ventotto anni e una storia calcistica già prestigiosa alle spalle: esclusa una parentesi nel Nacional di Manaus, ha militato dal 1972 al 1983 nell'Atletico Mineiro, il club più importante dello stato di Minas Gerais, dove è nato - a Belo Horizonte, come già ricordato - il 21 aprile del 1955. 21 aprile, già: sin dalla nascita, qualcosa di Roma è nel suo destino.
Un centrocampista unico nel suo genere, più che atipico: doti di copertura e di geometrica razionalità come le sue nel calcio brasiliano tra gli anni Settanta e Ottanta è raro trovarne; Cerezo abbinava a esse quei piedi fenomenali, insistiamo sul concetto, che fecero dire a più di un giornalista che nella nazionale più bella e incompiuta di sempre, ovvero il Brasile del Mondiale del 1982, era stato il migliore dei suoi e i suoi, vale la pena ricordarlo, si chiamavano Zico, Falcão, Junior, Socrates.
In una Roma che ha lo scudetto del 1983 cucito sulla maglia, il suo arrivo è il completamento ideale per un gruppo già tecnicamente fortissimo e dal gioco collaudato, pronto per affrontare la prima avventura della storia giallorossa in Coppa dei Campioni. Si presenta in maniera sontuosa, proprio nella manifestazione continentale, la sera del 14 settembre 1983, nella gara di andata contro gli svedesi del Göteborg: suo è il goal del tre a zero con cui si chiuderà l'incontro, un diagonale delizioso a pelo d'erba, al termine di un'azione manovrata e con un velo di Paulo Roberto Falcão che, a rivederla oggi, sembra di assistere a un altro sport. Toninho corre a perdifiato verso la Sud, che è già diventata la sua Torcida.
Se scintillante è il bagno d'esordio, i primi mesi italiani non sono sempre rose e fiori: Cerezo patisce più di un problema di ambientamento, soffre il freddo e anche il tipo di scarpini con cui si gioca in Europa, al punto che arriverà ad utilizzarne un paio speciale, fatto in tela di jeans. Al culmine delle difficoltà, a un passo dalla saudade, proprio la Curva Sud gli fornirà uno slancio, indimenticabile, di affetto e motivazione: "Vai nessa Toninho, a Torcida te da una forca " compare scritto sullo striscione a lui dedicato in occasione della gara contro la Sampdoria – squadra destinata a entrare nel suo destino e con la quale avrebbe poi vinto lo scudetto del 1991 – nel mese di febbraio. Sarà un caso, ma da quel momento Cerezo diviene protagonista assoluto di una indimenticabile primavera giallorossa, fino al raggiungimento della finale della Coppa dei Campioni del 30 maggio 1984. Fa ancora male ricordare come andò a finire quella manifestazione e ne facciamo volentieri a meno, anche perché tra le maledizioni di quella sera c'è proprio l'infortunio di Toninho Cerezo e la sua prematura uscita dalla scena della partita. Chissà cosa avrebbe voluto dire, per la Roma, averlo in campo fino alla fine, come sicuro protagonista e affidabile rigorista? Forse racconteremmo un'altra storia, oggi. Ma è già bello raccontare del suo goal, di forza e precisione, a Verona, neppure un mese dopo, nella finale d'andata di Coppa Italia: con dolore, la Roma rialza la testa e nella gara di ritorno regala il trofeo nazionale alla sua gente. Mulinando in alto le lunghe braccia alla sua maniera, per incitare il pubblico, Toninho è tra i più acclamati sotto la Sud e non potrebbe essere altrimenti: rivelatosi subito per quello che è, dentro e fuori dal campo, ha impiegato meno di una stagione a diventare figlio prediletto del suo pubblico.
Da una Coppa Italia all' altra, con un salto di due anni, in un mese di giugno, quello del 1986, indimenticabile nel destino di Toninho, che sta salutando la Roma dopo tre anni indimenticabili: aggregato alla selezione verdeoro per i campionati del mondo in Messico, si vede pregiudicare sul nascere quello che sarebbe il suo terzo campionato del mondo, a causa di un infortunio. Anziché restare in Messico da spettatore, preferisce tornare in Italia, dove, nel frattempo, una Roma priva di molti nazionali ha raggiunto la finale contro la Sampdoria, cioè contro quella che sarà la sua prossima squadra. Stranissimo, struggente incrocio della sorte. All'andata, il 7 giugno, i doriani prevalgono per due a uno a Marassi. Sette giorni dopo, all' Olimpico, Cerezo siede in panchina, ancora convalescente. La Roma passa in vantaggio grazie a un rigore di Desideri e contiene l'offensiva della Samp; al quarantunesimo Eriksson regala a Cerezo uno scampolo di finale, per consentirgli di salutare quello che resterà per sempre, fino alla fine di una carriera interminabile, il suo pubblico. Subito dopo, servito da un cross di Impallomeni dalla fascia destra, Toninho colpisce di testa in area e sigla il due a zero: delirio in campo, sugli spalti e...alla radio, dove Alberto Mandolesi scioglie il grido del goal in un'insopprimibile commozione, densa di gratitudine per ciò che questo calciatore ha rappresentato per i colori giallorossi.
Verranno poi le sei stagioni trascorse a Genova in maglia blucerchiata, il ritorno in Brasile e le stagioni al San Paolo - col quale alza la Coppa Intercontinentale -, al Cruzeiro, all'América - MG, fino alla chiusura con L'Atlético Mineiro, alla veneranda età calcistica dei quarantatré anni, palleggiando uno sguardo dolce in ogni angolo del pianeta, mai recidendo il cordone d'affetto tra lui e i tifosi della Roma. Sarebbe per sempre rimasto uno di loro, da loro amato come pochi altri: sorriso da eterno meninho sotto i baffi folti; uomo inimitabile; indimenticato, grandissimo giocatore.
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