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"Fuffo" e Antonio sono stati i primi calciatori rispettivamente dei biancocelesti e dei partenopei a vestire la casacca della nazionale italiana
In quegli anni, per arrivare a vestire la maglia della nazionale provenendo da club di città situate sotto la linea gotica, bisognava essere bravi in modo indiscutibile e al di sopra della media, come Antonio Vojak, istriano di Pola, prima centrocampista offensivo e poi definitivamente attaccante. Parliamo degli anni venti del novecento, di un calcio pionieristico ma che già muoveva e smuoveva finanze considerevoli. La stagione 1925 – 1926 per Vojak è quella dell’approdo alle pendici del Vesuvio, pochi anni dopo la fondazione della SSC Napoli; aveva lasciato un segno importante nelle sue stagioni juventine, poi un fugace passaggio alla Lazio senza lasciare il segno. Messosi a disposizione di Mister Garbutt, nel capoluogo campano diviene subito un beniamino dei tifosi, convinti a suon di gol e rapiti anche dal basco che portava in testa per trattenere i capelli; nella stagione ‘32 – ‘33 mette a segno 22 reti, eguagliando il record che era appartenuto al suo compagno di reparto Attila Sallustro. Il 14 febbraio del ‘32 arriva la sua prima e unica convocazione in azzurro, per la gara tra Italia e Svizzera che si disputa proprio a Napoli; dopo di lui, il telegramma lo ricevono anche Sallustro e Mihalich.
Primo giocatore del Napoli in maglia azzurra, Vojak, ma non primo in assoluto del centro – sud, perché la prima convocazione di un calciatore appartenente a un club centromeridionale era stata quella di Fulvio Bernardini, nel suo periodo di militanza laziale: il 22 marzo del 1925 “Fuffo” venne infatti chiamato a far parte di quell’Italia che perentoriamente avrebbe sconfitto la Francia con il risultato di 7 – 0, a Torino. Per quanto riguarda gli anni con la maglia della Lazio, dopo quel battesimo con gli Azzurri Bernardini verrà convocato altre sette volte in nazionale. Era arrivato nel club biancoceleste a tredici anni, mettendosi subito in luce come promettentissimo portiere; dopo un infortunio alla testa chiese di poter passare in attacco e, nonostante il diniego iniziale e lo scetticismo della dirigenza, impiegò il tempo di una partita con la formazione riserve per mettere in luce il suo bagaglio tecnico e la sua predisposizione a sentire la porta in varie situazioni di gioco. Tra polemiche, qualche screzio con i compagni a causa della sua personalità prorompente e il mancato accordo con la dirigenza, Bernardini e la Lazio si dicono addio alla fine della stagione ‘25 – ‘26. Per lui, in sequenza fino al 1945, le maglie di Inter, Roma e Mater, club quest’ultimo nel quale inizia ad allenare, ancora con gli scarpini ai piedi.
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