I cinque giocatori più iconici dell'Arsenal di Wenger
Nei 22 anni sulla panchina dei Gunners l'allenatore francese ha creato uno stile di gioco riconoscibilissimo, fatto di tecnica, qualità e velocità: abbiamo scelto gli interpreti più spettacolari
Ventidue anni non si scordano facilmente, ci mancherebbe altro. Un quarto di secolo quasi, per Arsène Wenger all'Arsenal, uno dei periodi più floridi nella storia non solo dei Gunners, ma parlandone in maniera oggettiva anche dell'intero calcio inglese.
Sì, perché la qualità offerta dai londinesi dal 1996 al 2018 è stata difficilmente comparabile, corredata da titoli sparsi qua e là (tre vittorie in campionato, 7 FA Cup) e da una finale di Champions League persa, nel 2006, contro il Barcellona.
Il calcio di Wenger è stato il calcio di molti uomini anche trasformati sotto la guida del tecnico alsaziano. Ne abbiamo scelti 5, in questa lunga lista di fenomeni; i più rappresentativi.
Dennis Bergkamp, l'ex Inter
In questa lista troveremo due olandesi, due francesi e uno spagnolo. Non è una barzelletta, però iniziamo a intuire come l'impatto di Wenger sul calcio inglese sia stato anche culturale, prendendo il meglio da quelle scuole calcistiche non abituali, all'epoca, in Inghilterra.
Il primo olandese è uno dei più grandi misteri degli anni Novanta, inizio Duemila: Bergkamp aveva tutto per sfondare, pur mantenendo certe peculiarità personali tipo la paura di volare che gli impediva di andare a giocare in posti lontani da casa.
Attaccante di rara completezza, cerebrale, tecnicamente un professore. Due anni a inabissarsi all'Inter in cui comunque riuscì, tra un muso lungo e un altro, a vincere la Coppa Uefa, la sua seconda dopo quella conquistata con l'Ajax nel 1992.
Dopo i nerazzurri nel 1995 sceglie l'Arsenal, che per lui sborsa 7.5 milioni di sterline, record per il club all'epoca. L'allenatore non è ancora Wengèr, ma manca poco. Un anno dopo l'alsaziano decide che Bergkamp sarà la sua stella, il suo faro offensivo.
Del resto Dennis può duettare realmente con chiunque: dall'elettrico Ian Wright al poderoso Anelka, oppure aprire i varchi per gli inserimenti dalle fasce del connazionale Overmars. Ogni tanto poi segna dei gol senza senso come quello con piroetta al Newcastle, il 2 marzo 2002.
Mai maglia numero 10 fu indossata in maniera così brillante come con Bergkamp, che all'Arsenal rimane per 11 anni vincendo 3 volte la Premier.
Thierry Henry, l'ex Juventus
Probabilmente il simbolo di tutto quel calcio frizzante, veloce e tecnico, offerto dall'Arsenal di Wenger. Ai Gunners dal 1999 al 2007, 226 gol in 370 partite (anche 39 in una sola stagione), momenti di dominio tecnico assoluto.
Henry lo abbiamo visto bene, almeno per chi c'era: rapido, totalmente ambidestro, forte fisicamente, una pantera che Wenger trasformò da esterno un po' fumoso (campione del mondo con la Francia nel 1998 anche se aveva perso man mano il posto da titolare) in centravanti atipico e micidiale.
Non un "falso nove" ante-litteram, ci mancherebbe altro, ma un calciatore completissimo, uno dei più completi della sua era, in grado di sfruttare le sue doti atletiche e tecniche.
Ripescato da Wenger quando alla Juventus sembrava essersi perso, "Titì" è stato il terrore delle difese della Premier League e della Champions per oltre un decennio, visto che poi sarebbe andato a prendersi il proscenio (e i grandi titoli internazionali) al Barcellona accanto a Messi e compagnia.
Robert Pires, un calciatore unico
Ecco il secondo francese, anche lui campione del mondo nel 1998 come Henry. Pires è stato un calciatore unico nel suo genere, oggi sarebbe una stella pagata a peso d'oro in qualsiasi club di grande livello, mentre all'epoca era "solo" un formidabile secondo o terzo violino nell'orchestra dell'Arsenal di Wenger.
Anche qua il tecnico alsaziano fu bravissimo nel ripescarlo dopo un periodo deludente, intuendone le qualità nel saltare l'uomo in fascia e nel farsi trovare libero con i suoi inserimenti: biennio a Marsiglia rivedibile e nel 2000 la chiamata dell'Arsenal, mai così internazionale come in quel periodo.
Perfetta spalla creativa di Henry, con Robert a occupare il centro quando il compagno magari si allargava sulla sinistra, una certa ribalderia nell'affrontare gli avversari, Pires è stato un giocatore molto sottovalutato, pilastro anche della nazionale francese vincitrice di tutto a cavallo tra i due millenni.
Cesc Fabregas, oggi allenatore del Como
La genialità di andare a prendere un minorenne per farne il pilastro del centrocampo: anche questo è stato Arsène Wenger, attuando una pratica che in Premier League già esisteva ("saccheggiare" i settori giovanili esteri, italiano compreso, per offrire ai calciatori non ancora maggiorenni contratti da professionisti) ma che in alcuni casi ha provocato delle vere magie di mercato.
Francesc Fabregas Soler, attuale allenatore del Como, a 16 anni nel 2003 saluta il settore giovanile del Barcellona, dove era una delle stelle più luminose, e diventa un giocatore dell'Arsenal. Bisogna avere coraggio o un pizzico di incoscienza per prendere certe decisioni, ma Wenger non ha dubbi, pur avendo in quel ruolo due campioni del mondo, Gilberto Silva e Vieira.
Dal 2004 Fabregas è indiscutibilmente il cuore della mediana dei Gunners, e ci rimane fino al 2011. In mezzo anche una stagione da 15 gol, con le sue doti innate negli inserimenti e una freddezza altrettanto innata nel calciare i rigori, per esempio, quando Henry lascia l'Arsenal.
Visione di gioco senza eguali, personalità a carrettate, tecnica da trequartista: Cesc a Londra diventa uno dei migliori centrocampisti del pianeta, ai servigi di mister Wenger.
Robin Van Persie, l'asso che non ti aspetti
Nell'ottica del "prendo un giocatore di cui intuisco le capacità e cambiandogli ruolo lo trasformo in un fenomeno" anche Robin Van Persie ha avuto il suo peso nei 22 anni dell'epopea di Wenger all'Arsenal. Probabilmente il simbolo della seconda parte di quel ventennio abbondante assieme a Fabregas.
Anche Van Persie, come Henry, di mestiere era un esterno, molto offensivo. Un piede sinistro che cantava, una rapidità di decisione sorprendente già da ragazzino, con la Coppa Uefa vinta nel 2002 quando militava nel Feyenoord.
Due anni dopo è uno dei giovani più contesi d'Europa, ma l'Arsenal arriva prima di tutti sul 21enne figlio di una coppia di artisti, cacciato ripetutamente da più scuole per il carattere fumantino.
Non altissimo, ma con una tecnica (di nuovo) sopraffina, Van Persie da esterno viene trasformato, esattamente come Henry, in centravanti micidiale. Forse più cerebrale del francese, che spesso andava dritto per dritto: RVP è uno che coinvolge la squadra, dialoga, e poi conclude alla sua maniera, da qualsiasi distanza.
La sua ultima stagione all'Arsenal è storica, segna 30 gol prima di trasferirsi al Manchester United. Nel frattempo, anche in patria è diventato uno dei pezzi pregiati della nazionale che sfiora il mondiale per due volte, nel 2010 e nel 2014. Giocando da centravanti, naturalmente.