Valter Bonacina, la colonna portante di un’Atalanta operaia

Valter Bonacina, la colonna portante di un’Atalanta operaia

L’ex centrocampista d’interdizione che non disdegnava gli inserimenti e i gol, è stato una vera e propria bandiera della squadra bergamasca

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“Sono un uomo fortunato” dice Mondonico alla fine della partita di San Siro del 20 novembre 1988 tra Milan e Atalanta. Avranno pensato la stessa cosa gli appena tre tredicisti di giornata, che grazie alla vittoria al 91esimo dei nerazzurri si sono portati a casa un montepremi da lotteria di Capodanno. Sugli spalti “Berlusconi sembrava una statua di gesso” titola “L'Eco di Bergamo”. E l'autore del gol decisivo, fa le capriole: il suo colpo di testa contro i futuri “invincibili” che diverranno campioni d'Europa a Barcellona è stato uno dei mattoni che lo hanno trasformato in una “leggenda” ipse dixit della Dea, superato solo a marzo di quest'anno da De Roon al secondo posto nella classifica degli atalantini più presenti di sempre, dietro al capofila Bellini.

Valter Bonacina – per la Panini sempre e solo “Walter” in ognuna delle figurine che gli ha dedicato negli anni – è nato a Bergamo, è cresciuto in una realtà minore cittadina, i viola della Virtus Boccaleone, conquistando due promozioni dalla D alla C1 e una coppa Italia di categoria, e con l'Atalanta si è tolto le più grandi soddisfazioni in carriera. Qualsiasi tifoso romanista, tuttavia, gl'invidia il posto in prima fila nel giorno dell'esordio di Francesco Totti a Brescia, il 28 marzo 1993.

Boskov, il suo allenatore nella seconda delle sue tre stagioni giallorosse, lo definiva “l'austriaco” per la sua grande dedizione al lavoro e la predisposizione al sacrificio, ma il “Cina”, come lo chiamavano a Bergamo, non è stato un semplice portatore d'acqua e come De Roon – prima di De Roon – è diventato la colonna di una Dea operaia che ha saputo librarsi nel paradiso delle coppe europee.

Le grandi imprese con la Dea

Insostituibile e, come scrivevano spesso i giornali per commentare le sue gare, “protagonista di un'ottima prestazione”, Bonacina ha partecipato a molte delle più grandi imprese atalantine prima dell'avvento di Gasperini, dalla finale di coppa Italia 1987 alla semifinale di coppa delle Coppe dell'anno successivo, sino alle due qualificazioni in coppa Uefa consecutive nel 1989 e 1990. Una Dea solida, tosta in casa e capace di sorprendere le avversarie in trasferta, come nell'impresa del 15 marzo 1988 sul campo dello Sporting Lisbona, quando l'1-1 di “Aldone” Cantarutti fece urlare di gioia Sandro Ciotti in telecronaca e impazzire il popolo bergamasco. Bonacina c'era, “sempre lì, lì nel mezzo” direbbe Ligabue.

In A, in B, in Europa, per Bonacina non faceva differenza quale fosse il palcoscenico, lui sgobbava correva e sudava per la sua Atalanta dando tutto se stesso. Permettendo a gente più dotata di lui tecnicamente – come Stromberg, Evair o il “figlio del vento” Caniggia – di esprimersi al massimo delle proprie capacità, ma togliendosi anche più di una soddisfazione in avanti.

Un “Ringhio” Gattuso ante litteram, ma con più gol nei piedi, e una capacità d'inserimento non comune – anche di testa, come dimostrato in quello storico gol al Milan – per un “piccoletto” di appena un metro e settanta.

Gli anni a Roma

Acquistato dalla Roma nell'estate 1991 su espressa richiesta di Ottavio Bianchi, che di cose bergamasche ne ha sempre saputo, è stato una delle poche note positive della presidenza Ciarrapico,  uno che si dichiarava “ignorante di calcio” ma che con lui ci ha azzeccato. Per tre stagioni ha protetto le spalle al “Principe” Giannini, sino all'avvento dell'Ottavo re di Roma, lasciando buoni ricordi e molte maglie sudate. Il suo primo gol ufficiale (uno di due) con la nuova maglia, lo ha segnato proprio agli ex compagni, in un Roma-Atalanta 1-1 dell'8 dicembre 1991, guarda caso, in cui indossava addirittura la numero dieci per assenza del legittimo proprietario. Non era una grande squadra, quella, ma se Bianchi a fine partita aveva messo tutti in discussione, a Bonacina non sapeva rinunciare.

Sia Boskov che Mazzone, nelle due stagioni successive, avevano seguito il suo esempio: quale che fosse la formazione, Bonacina si allenava troppo bene e dava un contributo talmente importante al collettivo da essere quasi insostituibile.

Dopo il triennio romano, Bonacina è rientrato nella sua Bergamo, in B, e dal 1994 al 1999 – con una promozione in A al primo anno e un'altra stagione in cadetteria al passo d'addio – ha conquistato lo status di “bandiera” che ancora oggi nessuno si sognerebbe di contestare.

Diventato allenatore a fine carriera – dopo due ulteriori stagioni a Monza in B e una in D al Rodengo Saiano – ha guidato tra le altre anche la Primavera atalantina, cementando ancora di più il legame con la sua città e costruendo la generazione dei Gagliardini, dei Caldara e dei Kessié che ha fatto le fortune del primo Gasperini. “Mola mia” direbbero a Bergamo: un motto che Valter Bonacina ha sempre interpretato alla lettera.

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