Vincent Candela, il francese innamorato della Roma e di Roma

Vincent Candela, il francese innamorato della Roma e di Roma

Giocò nella Capitale per otto anni. Dopo due stagioni con Zeman, l’arrivo di Capello lo portò alla maturazione e alla vittoria di uno storico scudetto con i giallorossi

Paolo Valenti/Edipress

24.10.2023 ( Aggiornata il 24.10.2023 00:01 )

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Dei francesi che portarono lo scudetto a Roma nel 2001, Vincent Candela è quello che è rimasto più scolpito nella memoria dei tifosi. Rispetto a Jonathan Zebina, l’altro transalpino protagonista di quella grande stagione, era più bravo, più fedele alla maglia (otto anni nella Capitale contro quattro) e più immerso nel mood della città. Zebina era un parigino che amava la pittura: forse anche per questo Fabio Capello nutriva per lui una predilezione che a molti appariva quasi inspiegabile. Candela, occitano di Bédarieux, aveva bisogno di minori sofisticazioni per godersi la vita e si adattò più facilmente in un ambiente all’atavica ricerca di nuovi gladiatori.

 

L’arrivo a Roma

 

Lui che, nel sud della Francia, era cresciuto con gli umori del Mediterraneo, non ci mise molto a farsi apprezzare quando, all’inizio del 1997, giunse a Roma proveniente dal Guingamp, sessantesimo straniero della storia giallorossa e primo francese. Un trasferimento desiderato con tutte le forze: a ventitré anni Vincent si sente pronto a giocare le sue carte nel campionato più competitivo del mondo e, per non perdere il treno sul quale la Roma gli offre di salire, litiga col suo presidente.
Inizialmente il suo arrivo fu oscurato da quello concomitante di Omari Tetradze, terzino destro accompagnato dalla maggior fama acquisita soprattutto grazie alla militanza nella nazionale russa. Gli ci volle un mese, quello trascorso tra l’esordio nella partita casalinga col Vicenza del 2 febbraio 1997 e il match disputato all’Olimpico contro il Verona del 9 marzo, per rompere gli indugi delle osservazioni titubanti e cominciare a far sognare i tifosi. Fu proprio anche grazie a una sua doppietta, infatti, che i giallorossi batterono gli scaligeri. Candela si guadagnò i titoli dei giornali del lunedì e la consapevolezza di un pubblico che, da quel giorno in poi, lo amerà senza riserve.

 


Da Carlos Bianchi a Capello, passando per Zeman

 

Sopravvissuto con onore alla catastrofica stagione con Carlos Bianchi in panchina, il terzino francese è titolare indiscusso anche nella Roma di Zeman. Di media statura ma ben strutturato (anche per via del rugby praticato in passato) sostiene gli allenamenti del tecnico anche se, una volta in partita, non ne segue sempre alla perfezione i dettami. Del resto Candela ha piedi raffinati e voglia di divertirsi tipici di un numero dieci più che di un difensore ed è poco incline alla disciplina tattica che richiede il boemo. Che, in situazioni di emergenza, gli chiede anche di fare il difensore centrale, ruolo nel quale Vincent si sacrifica senza entusiasmo per mero amor di patria. Per lui, pur se destro naturale, è la fascia sinistra la tela sulla quale imprimere il suo gioco ideale. Uno spazio nel quale alterna i contrasti al doppio passo, un cross a rientrare e il colpo di tacco. L’intesa con Totti è totale e fluisce in un rapporto che combina naturalmente professionalità e amicizia. I loro duetti sulla sinistra, boccate d’ossigeno per esteti del calcio, nei momenti d’eccesso mandano Zeman in fibrillazione. È il prezzo del talento, che alla fine il boemo accetta senza sorridere troppo.
E probabilmente è anche il rapporto non idilliaco con l’allenatore a spingere Candela, al termine della stagione 1998-99, ad accettare una proposta dell’Inter. I nerazzurri hanno mezzi ed esperienza per vincere il campionato: impossibile dire no. Fin quando a Trigoria arriva Fabio Capello: un nome, un brand che significa successo. Basta una telefonata per far ricredere Vincent, che torna felicemente sui suoi passi a preparare la scalata al paradiso. Che non è immediata: il primo anno col tecnico del Milan degli Invincibili scivola via insipido nonostante un buon avvio. È nell’estate del 2000 che Franco Sensi fa gli acquisti giusti, aggiunge campioni a una rosa già talentuosa e Candela si guadagna il lasciapassare per la storia.

 


Scudetto, Mondiali ed Europei

 

La sua presenza in campo raggiunge un livello di autorevolezza paradigmatico: è migliorato nella scelta dei tempi, nel dosare le sortite offensive con i ripieghi sulla linea della difesa a tre. Giocando un po’ più lontano da Totti prende maggiori responsabilità, diventando una sorta di rifinitore esterno al quale i compagni possono affidarsi quando il capitano è bloccato nelle gabbie difensive avversarie. La postura col petto in fuori e i capelli lunghi schiacciati dal cerchietto che gli cinge il capo donano al francese un aspetto da personaggio romanzesco. Se sulla destra Cafu spinge cavalcando la fascia con una fisicità elastica e fluida, a sinistra Candela alterna spada e fioretto, pause di ritmo e allunghi, ricami e potenza. Nella trasferta di Bari del 20 maggio 2001, il gol di apertura che porta la sua firma rappresenta plasticamente le sue qualità di palleggio, forza e precisione. Lo scudetto coi giallorossi, celebrato il mese successivo, è il momento apicale di una carriera che pure l’ha visto contribuire alla conquista di traguardi più importanti, come la Coppa del Mondo del 1998 e l’Europeo 2000. Ma con la sua nazionale Vincent non è il primattore di Roma: troppo forte la concorrenza nel ruolo di Lizarazu, terzino sinistro del Bayern Monaco, per trovare lo spazio adeguato a sentirsi fondamentale. Anche se, tra il 1996 e il 2002, saranno quaranta le volte che Candela indosserà la maglia dei Bleus.
Ad altissimi livelli la carriera di Vincent non è longeva. Intorno ai trent’anni gli stimoli cominciano a sfumare: Capello, che lo stima molto, prova a scuoterlo senza grossi risultati. Finisce il suo primo matrimonio, il piacere del bere sconfina qualche volta di troppo nel vizio. Anche per Totti, amico fraterno, diventa difficile arginare un momento di difficoltà che, arrivato in quella fase della vita professionale, incide profondamente sul suo rendimento. Nel gennaio del 2005 lascia i giallorossi per provare un’esperienza in Inghilterra col Bolton che dura solo sei mesi. Poi a Udine, Siena e Messina ultima il suo percorso senza ulteriori fiammate. Dopo il ritiro non può che tornare nella Capitale a ricordare con gli amici di oggi, nel suo italiano arroccato tra romanesco e accento francese, le gesta di quella Roma nella quale erano compagni.

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