Aldo Maldera, il terzino sinistro dall’animo gentile

Aldo Maldera, il terzino sinistro dall’animo gentile

A diciotto anni dava del lei a Rivera. Legò le sue fortune a Nils Liedholm, col quale vinse due storici scudetti: quello della stella col Milan e quello del 1983 con la Roma

Paolo Valenti/Edipress

14.10.2023 ( Aggiornata il 14.10.2023 00:06 )

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"La vita di ogni uomo è una via verso se stesso". Lo aveva scritto Hermann Hesse, lo capì Aldo Maldera nel percorso che seguì sul confine tra autodeterminazione e destino. Nacque a Milano da genitori pugliesi il 14 ottobre 1953, un dettaglio non irrilevante per chi ai segni zodiacali assegna un ruolo importante nel valutare i calciatori: quelli nati sotto il segno della Bilancia, infatti, sono spesso dei campioni. Era il terzo di tre fratelli che avevano il pallone nel DNA: tutti giocatori, tanto che Aldo, per chi collezionava le figurine, compariva sempre come Maldera III anche se era il più bravo.

L’esordio con la maglia di Rivera

Così bravo da esordire in Serie A con la maglia del Milan di Gianni Rivera, il 26 marzo 1972, in una trasferta a Mantova dove, in assenza dell’ex golden boy, invece del suo consueto numero tre indossa un dieci che mette imbarazzo. Col titolare di quella maglia il giovane Aldo nutre un rapporto reverenziale: non riesce a dargli del tu, tanto che alla fine sarà Rivera stesso a prenderlo da parte per sollevarlo da quella soggezione ormai fuori moda già in quei primi anni Settanta. Maldera, del resto, era fatto così: un ragazzo garbato, dai modi educati dettati da una timidezza che si accompagnava a una gentilezza d’animo inusuale, di quelle che sorprendono per la loro rarità.
L’esordio a Mantova, in quella stagione, rimase un episodio isolato. Quel ragazzo che correva sulla fascia sinistra si doveva ancora formare: un anno a Bologna, seppur con poche presenze, lo riconsegnò al Milan pronto per fare sul serio. Aldo non è soltanto un terzino che sa spingere: ha intelligenza tattica e una buona tecnica di base che gli consente di calibrare ottimi cross in mezzo all’area, tiri potenti dalla distanza e dribbling all’occorrenza. Capacità che, affinate nel tempo, lo porteranno a segnare molti gol.    

La Coppa Italia 1976-77

Il Milan lo assorbe, è il sogno da bambino che si realizza grazie alla dedizione e all’impegno totali che mette nel conquistare un posto da titolare, che a metà di quegli anni Settanta è finalmente suo. Diventa protagonista in un derby che si gioca il 3 luglio 1977 per decidere il vincitore della Coppa Italia: sblocca il risultato in combinazione col sempiterno Rivera, che gli fornisce un assist dentro l’area sul quale Aldo si lancia in acrobazia e batte Bordon prima che Braglia chiuda la partita. È il primo successo di un biennio che per il terzino rossonero sarà indimenticabile. Con l’arrivo di Liedholm accresce la sua consapevolezza, spinge ulteriormente in avanti il suo raggio d’azione e, col ritiro di Facchetti, coglie l’opportunità di far parte stabilmente della Nazionale.

La parentesi azzurra e lo scudetto della stella

Quella con la maglia azzurra, però, è un’esperienza che, iniziata come un percorso, alla fine si rivelerà solo una parentesi. Partito titolare alla volta del mundial ‘78, viene travolto dalla freschezza che spinge Antonio Cabrini, preferito dal CT Bearzot anche per via dell’appartenenza a quel blocco Juventus che gli assicura più garanzie. Maldera, in Argentina, scende in campo solo nella finalina per il terzo posto mentre ai successivi Europei non giocherà nemmeno un minuto, chiudendo così la sua frequentazione con gli azzurri. Uno dei grandi rammarichi della sua vita professionale, al quale riesce a ovviare grazie al Milan, col quale nel 1979 vince da primattore lo scudetto della stella: non solo non salta una partita di campionato ma realizza anche nove reti che pesano la dimensione del suo essere un giocatore moderno, capace di inserimenti, finalizzazioni e contrasti portati spesso in scivolata per recuperare i metri consumati nelle proiezioni offensive.

Il richiamo del Barone e lo scudetto con la Roma

La sua fedeltà al Milan viene messa a dura prova con il calcioscommesse: i rossoneri, per colpe non sue, vengono retrocessi. Maldera decide di rimanere a guidare la risalita, acquistando ulteriore credito agli occhi dei tifosi. Ma quando, nel 1982, la Serie B è una derivata solo sportiva, la sua vita prende una nuova direzione. Lo vuole il Napoli ma quando tutto sembra ormai fatto lo chiama Liedholm, tornato alla Roma dopo averlo guidato allo scudetto tre anni prima. Il Barone lo conosce bene, apprezza le sue doti tecniche e caratteriali. E poi è della Bilancia, proprio come lui e Paulo Roberto Falcão: ”Vieni Aldo, che vinciamo lo scudetto”. La Città Eterna è l’alba di una nuova vita, quella che Maldera non avrebbe mai immaginato. È la scoperta di nuovi spazi, di una dimensione diversa che incanta il suo animo gentile: l’amore incondizionato della gente, le pennellate di sole in pieno inverno e la vicinanza del mare accarezzano le radici meridionali della sua famiglia d’origine. Arriva il secondo scudetto, un tripudio di colori ed emozioni che nemmeno Liedholm sarebbe stato in grado di spiegargli. La stagione successiva diventa un’autostrada da percorrere verso quella che sembra essere l’unica destinazione possibile: la finale di Coppa dei Campioni, che per Maldera costituirà un rammarico ancora più grande di quello vissuto da compagni e tifosi. Lui, infatti, non potrà nemmeno provare a cambiare il destino di una squadra che resterà ferita per sempre da una sconfitta a cui nemmeno il tempo riuscirà a porre rimedio. Ammonito in semifinale viene squalificato ed è costretto a guardare Roma-Liverpool dalla tribuna, a macerare dolore e rabbia senza aver lo sfogo di una discesa sulla fascia o la possibilità di tirare almeno uno di quei disgraziati rigori. Una finale che si rivela un ultimo appuntamento mancato: Aldo a Roma fa ancora una stagione prima degli ultimi due anni di carriera a Firenze, dove chiude senza sussulti. Poi il ritorno nella Capitale fino al momento di un precoce addio alla vita che ne ha cancellato il respiro, non il ricordo di quel ragazzo che non sapeva dare del tu a Gianni Rivera.

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