Impressionante il Fenomeno: tutti i Mondiali di Ronaldo

Impressionante il Fenomeno: tutti i Mondiali di Ronaldo

Dopo aver vinto senza giocare nel 1994, realizzò il primo gol in Coppa del Mondo il 16 giugno 1998. Ancora campione nel 2002, segnò i suoi ultimi gol mondiali nel 2006

Paolo Valenti/Edipress

15.06.2023 ( Aggiornata il 15.06.2023 16:16 )

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16 giugno 1998, in Francia i mondiali di calcio hanno cominciato a viaggiare a pieno regime. Allo stadio della Beaujoire di Nantes scendono in campo per disputare la seconda partita del girone eliminatorio Brasile e Marocco: nella partita d’esordio i sudamericani hanno vinto 2-1 contro la Scozia mentre gli africani sono reduci da un 2-2 con la Norvegia. Ad ogni partita dei verdeoro c’è grande attesa: sono loro, insieme alla Francia, i principali favoriti della Coppa del Mondo. Non solo per il fatto di essere i campioni in carica ma anche per via delle diverse stelle di prima grandezza che innervano una Seleção che, tra i suoi assi, sfodera Luis Nazario de Lima, per tutti semplicemente Ronaldo, giovane portento naturale che da qualche anno imperversa sulla scena del calcio internazionale con le stimmate del predestinato.


Il primo gol ai Mondiali

Dopo la prima partita nella quale non trovò la via della rete, quel 16 giugno furono sufficienti nove minuti al Fenomeno (il soprannome che si era meritato grazie alle prodezze mostrate sui campi di gioco di tutto il mondo) per realizzare il primo gol della carriera ai mondiali. Un gol che, nella sua semplicità, racchiudeva due delle qualità migliori di Ronaldo, la precisione e la potenza: assist di Rivaldo, rimbalzo della palla al limite dell’area e tiro scagliato inesorabilmente all’angolo destro del portiere senza che questi possa intervenire. Nel 1998 Ronaldo era già campione del mondo, almeno formalmente: aveva partecipato senza mai giocare alla vittoriosa spedizione di USA 94, quando al suo attivo aveva solo tre amichevoli e un gol con la maglia della nazionale. Ma la sua notorietà era dovuta, più che a quell’estemporaneo passaggio, a ciò che aveva seminato nei campionati europei dopo quell’esperienza. Due anni col PSV in Olanda lo avevano portato ad attrarre le attenzioni del Barcellona, che con lui aveva vinto la Coppa delle Coppe nel 1997. In quell’estate era stata l’Inter a strapparlo alla Catalogna: Moratti aveva speso una cinquantina di miliardi di lire per portarlo a Milano. E anche al primo anno in Italia aveva fatto scintille.



Agilità, potenza e controllo del Fenomeno

Agile nei cambi di direzione, veloce negli scatti brevi e nelle progressioni, potente nelle conclusioni, Ronaldo appariva l’incarnazione della massima espressione calcistica possibile dopo l’addio di Maradona. “La potenza è nulla senza controllo” recitava il claim di un’azzeccatissima campagna pubblicitaria della Pirelli a cui la sua immagine seppe dare un impulso decisivo, proprio perché in lui quel concetto trovava la sua piena realizzazione. A una tecnica sopraffina, infatti, il Fenomeno sposava potenza e agilità muscolari fuori dal comune, che portavano i compiti di marcatura ai limiti dell’impossibile. In quello che era il suo primo mondiale da protagonista, tutti si aspettavano che fosse lui, a prescindere dal risultato finale del Brasile, a indossare la corona del miglior calciatore della manifestazione. Cosa che avvenne pur con l’ombra preoccupante del malore che lo colse a poche ore dalla finale con la Francia, che destò preoccupazione in tutto il mondo e che, di fatto, gli impedì di presentarsi all’atto decisivo della Coppa del Mondo in condizioni degne del suo nome. Un mistero che ancora oggi rimane irrisolto, dal momento che nessuno ha mai pubblicamente individuato una causa definitiva e attendibile per quel malessere: il medico della nazionale verdeoro, Livio Toledo, dichiarò che si era trattato di una banale congestione; Suzana Werner, all’epoca compagna del Fenomeno, sostenne che l’indisposizione era stata procurata dall’assunzione di un farmaco mentre il medico sociale dell’Inter, il dottor Volpi, ipotizzò addirittura che lo stress eccessivo avesse determinato quell’evento. Fatto sta che Ronaldo, nei fatti, sembrò assente anche in quella finale (dopo quella vista dalla panchina quattro anni prima) e fu anche per questo che il Brasile dovette bere il calice della sconfitta.

La vittoria del 2002 e gli ultimi sigilli

Per prendersi le sue rivincite, individuali e di squadra, il Fenomeno dovette attendere il successivo mondiale nippo-coreano. Nei quattro anni passati erano accaduti tanti eventi che avevano notevolmente influito sul suo corpo e la sua psiche, soprattutto i gravi infortuni alle ginocchia che ne avevano limitato definitivamente le capacità fisiche. Non era più il calciatore imprendibile ammirato negli anni precedenti ma un tasso tecnico elevatissimo e la maggiore esperienza gli consentirono di rimanere il top player che a Yokohama, nella finale contro la Germania, riscattò la delusione del 1998 e quella più recente raccolta in campionato con la sua Inter, bruciata sul traguardo dello scudetto in un 5 maggio che nella storia nerazzurra diventerà più funereo di quello manzoniano. Capocannoniere con otto reti e Pallone d’Argento della manifestazione, firmatario della doppietta che decise la finale, alla quale si presentò con un improbabile taglio di capelli, Ronaldo fu in quel momento il re assoluto del calcio mondiale come lo era stato Maradona nel 1986 e come lo sarà Messi nel 2022. Un percorso che, col passaggio al Real Madrid alla fine di quell’estate, lo condurrà verso ulteriori successi che, per paradosso, saranno il viatico di un declino dettato troppo precocemente dalle precarie condizioni fisiche che non gli impedirono, tuttavia, l’ultima apparizione ai mondiali. Quelli che nel 2006 si tinsero d’azzurro, ai quali Ronaldo regalò gli ultimi tre gol della sua carriera in nazionale che, a soli trent’anni, era arrivata al canto del cigno.

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