Mario Pagotto, il terzino del Bologna che giocava a calcio nel lager

Mario Pagotto, il terzino del Bologna che giocava a calcio nel lager

Celebre metà della coppia difensiva felsinea con Secondo Ricci, visse da prigioniero di guerra dal 1943 al 1945

Alessio Abbruzzese/Edipress

14.12.2021 ( Aggiornata il 14.12.2021 12:14 )

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Durante lo scorso secolo, ma soprattutto nella prima metà, le storie dei calciatori si intersecano con la Storia dalla S maiuscola, portandoli spesso a viverne le pagine più tragiche. I pionieri del calcio nostrano hanno vissuto in periodi difficili, e alcuni hanno patito sulla propria pelle gli eventi drammatici di cui sono stati testimoni. Uno di questi è senza dubbio Mario Pagotto, storico terzino del Bologna che durante i ’30 e i ’40 dominava in Serie A.

Il “furlàn” rossoblù

Nato a Fontanafredda, vicino a Udine il 14 dicembre del 1911, è cresciuto come tutti i suoi coetanei  e conterranei con il mito di Primo Carnera, prima di dedicarsi al calcio in oratorio, poi a Pordenone. Giocatore estremamente roccioso ma corretto, era un terzino molto dotato tecnicamente.  Per intenderci, con il modulo del metodo in voga in quegli anni in Italia, il terzino equivale al difensore centrale odierno. A 25 anni, molto tardi anche per gli standard di allora, approda al Bologna di Arpad Weisz, diventandone ben presto la colonna portante difensiva insieme a Secondo Ricci. Dal 1936 al 1943 i due diventano una delle coppie più celebri del nostro campionato, vincendo 3 scudetti e un Trofeo Internazionale dell’Esposizione Universale di Parigi nel 1937, ai danni degli inglesi del Chelsea. 

La guerra, la prigionia e il ritorno a Bologna

Nel 1943 si arruola nella Brigata Alpini, del campo di battaglia non vede molto, visto che l’8 settembre arriva l’armistizio e il povero Mario detto Rino viene arrestato dai nazisti e tradotto prigioniero nel campo di lavoro di Byalistok, in Polonia. Qui perde 30 kili in sei mesi, tra lavori forzati, freddo e fame rischia di morire ogni giorno, ma la sua costituzione più che robusta e soprattutto la sua incredibile forza mentale lo fanno resistere. Con l’avanzata dei russi, Pagotto e gli amici che condividono con lui la prigionia, molti di cui italiani, vengono mandati a Odessa e poi a Cernauti. Qui Pagotto incontra altri calciatori connazionali ed insieme a loro tira su una squadra che si riunisce per giocare su una spianata polverosa, con un pallone di stracci e porte segnate con le tute dei prigionieri. In molti li sfidano, ma gli italiani battono sempre tutti. Alla fine del conflitto riesce a tornare in patria e a vedere per la prima volta suo figlio, nato mentre lui era prigioniero. Torna anche a giocare a Bologna, anche se due lunghi anni di prigionia hanno fiaccato l’intrepido terzino che era stato nel decennio precedente. Dopo il ritiro non parlerà quasi mai della sua esperienza, rimanendo coerente con il suo temperamento forte ma taciturno. A noi piace pensare che i suoi tremendi ricordi di prigionia siano addolciti da quelli del campo polveroso di Cernauti, dove insieme ai suoi sodali sognava la libertà rincorrendo un pallone. 

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