Roma-Milan: i ricordi del doppio ex Pendolino Cafu

Roma-Milan: i ricordi del doppio ex Pendolino Cafu

L'intervista al terzino brasiliano ripercorre una lunga carriera costellata di trionfi sia con le squadre di club che con la nazionale 

Francesco Balzani/Edipress

31.10.2021 16:27

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Tre finali di Coppa del Mondo. Basterebbe questo per portare la mano sul cappello e farci inchinare di fronte a quello che è ritenuto uno dei terzini più forti della storia del calcio mondiale. Lui è Marcos Evangelista de Moraes. Tutti lo conoscono come Cafu, in onore dell'ala brasiliana Cafuringa, idolo del padre. A Roma era anche chiamato Pendolino, soprannome che si è portato dietro pure a Milano. Nelle due città ha vinto due scudetti, una Champions e svariate coppe nazionali e non. Centoquarantadue le presenze col Brasile, nessuno come lui nella storia della Seleçao. Nessuno come lui, in quel ruolo, nella storia del nostro campionato.

Marcos Cafu, un pezzo di storia del Brasile. Quale dei due Mondiali le ha dato più gioia?

"Nel 1994 ero giovanissimo ma giocai un pezzo di finale contro l'Italia di Maldini. Ci ho messo un po’ a realizzarlo, ho fatto due assist per Bebeto e Romario e ai rigori avevamo capito subito che si era messa bene con l'errore di Baresi. Quello del 2002 l'ho vinto da capitano, ero più vecchietto. Avevamo al top Ronaldo che era pazzesco. Non saprei scegliere".

Il ricordo più bello alla Roma invece?

"I ricordi belli sono tanti, dopo 18 anni abbiamo portato lo scudetto a Roma in una piazza dove un tricolore ne vale dieci. Avevamo una squadra fortissima allenata da Capello e abbiamo vissuto anni meravigliosi in cui ho avuto la fortuna di veder crescere uno come Totti. C'era un'atmosfera fantastica". 

Se le dico Roma-Parma 3-1?

"Mi ricordo tutto di quel giorno, dal primo all'ultimo secondo. Era l'ultima stazione di un viaggio bellissimo. A due minuti dalla fine tutti i giocatori in campo erano con gli occhi fissi sugli spalti, era impossibile non restare incantati da quelle bandiere, quei cori, quei colori. Sembrava di stare in Brasile". 

Dopo sei anni di Roma passa al Milan. Un po' per caso, vero?

"Sì perché avevo chiuso l'accordo con lo Yokohama. A 33 anni pensavo di aver dato tutto in Europa e volevo una esperienza diversa. Poi pochi giorni prima di partire mi chiama il Milan e mi dicono che Ancelotti mi vuole almeno un anno. Potevo dire no al Milan? Ho chiamato in Giappone e loro hanno capito".

E a Milano ha scoperto una seconda giovinezza. Due finali di Champions, ci racconta la prima a Istanbul persa ai rigori?

"Era una partita finita nel primo tempo, eravamo 3-0 e stavamo dominando. Non ci avevano mai rimontato, quindi ci sentivamo sicuri. Nella ripresa abbiamo subito notato la rabbia e la voglia del Liverpool. Nessuno poteva immaginarlo. Ci è servito da lezione".

Due anni dopo, infatti, è arrivata la vendetta di Atene sempre con il Liverpool.

"Ma non avevamo pensato a vendicarci. Il Milan aveva tanta esperienza. Io avevo 36 anni, Maldini 38, Costacurta 41 e Serginho 35. Sapevamo che era la nostra ultima chance, ma eravamo molto calmi. Poi il gol di Inzaghi ci ha spianato la strada".

Torniamo a Roma-Milan, tante sfide. La più bella?

"La più emozionante è stata quella nell'anno dello scudetto con la Roma finita 1-1 con gol di Montella. Ma ce ne sono state molte". 

Ricorda invece quella che consegnò lo scudetto al Milan nel 2004 con gol di Shevchenko in cui ha avviato lei l'azione?

"Sheva sapeva sempre dove stare. Lui aveva immaginato la giocata tra me e Kaká e già era al posto giusto. Mi è dispiaciuto per la Roma".

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