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Virtus Bologna venti anni dopo© LAPRESSE

Virtus Bologna venti anni dopo

La Segafredo allenata da Sasha Djordjevic ha conquistato lo scudetto con un clamoroso 4-0 all'Olimpia Milano nella serie finale. Si chiude così una stagione folle, dove l'incompetenza di molti è stata pagata soltanto dagli allenatori...

Redazione

13.06.2021 16:05

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BOLOGNA REGINA

 
La Virtus Bologna ha coronato nel migliore dei modi una stagione vissuta al limite della follia, iniziata con l’obiettivo dichiarato (e fallito) dal patron Zanetti di guadagnare l’Eurolega sul campo (nessuna wild card era stata concessa da anni alle squadre italiane), dopo aver costruito e affidato la squadra all’asse slavo Teodosic, Markovic e Djordjevic e aver messo a libro paga un giocatore del calibro di Belinelli, rientrato in Italia dopo 13 anni di NBA, di cui più della metà vissuti da protagonista.
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Proprio il mancato esordio in serie A di Marco Belinelli, nella partita in diretta nazionale contro Sassari, sarebbe costato l’esonero di coach Djordjevic, poi rientrato a seguito dell’ammutinamento di Teodosic e Markovic. Djordjevic quindi è il primo allenatore ad aver vinto uno scudetto dopo essere stato esonerato e reintegrato nei ranghi. E questo è forse il suo merito più grande oltre quello di aver lanciato definitivamente Alessandro Pajola, ventenne di Ancona, la cui maturazione fisica ha amplificato una crescita tecnica e caratteriale e che in questi playoff è stato leader e trascinatore della Virtus, offrendosi come alternativa a Teodosic, a volte troppo impegnato a inseguire la sua leadership per ricordarsi di far girare la squadra. Il titolo delle V Nere è stato anche il secondo Belinelli, che a Bologna, ma sponda Fortitudo, aveva vinto anche il precedente. Un titolo emozionante – “ho pianto dopo la gara” – e vissuto da protagonista, grazie alla sua capacità di realizzare tiri impensabili per i suoi colleghi, ma anche grazie al suo sapersi integrare in un ambiente in cui la leadership era stata già assegnata prima del suo arrivo. 
 
A mancare in questi playoff è stato sicuramente il gioco, definitivamente ucciso dalle difese aggressive ed estremamente fisiche preparate dagli allenatori e dal continuo e incessante pick & roll giocato dagli attacchi, propedeutico a un isolamento in 1 contro 1 o a una circolazione perimetrale della palla alla ricerca di un tiro da fuori, la cui esecuzione, in Italia, è ancora troppo veloce per poter essere anche precisa. Da lì le medie spesso sotto il limite della decenza viste in campo. E la quantità enorme di palloni persi in attacco a far imbestialire interi staff tecnici.
 
Sono anni che si parla di un impoverimento del gioco e di un ricorso eccessivo al tiro da fuori da parte di tutte le squadre di A (e non solo) con l’uso di giocatori sempre più fisici e meno tecnici, cui viene chiesto di difendere, correre e tirare da 3. Ma non ci sono state inversioni di tendenza, anzi. Il nuovo corso della Nazionale si basa proprio sulla ricerca del tiro rapido per favorire, eventualmente, un rimbalzista dinamico in attacco. Proprio come il gioco voluto da coach Vitucci a Brindisi questo anno: irresistibile fino ai playoff, prevedibile e poco redditizio dopo il Covid, con giocatori fuori forma e senza un piano B da mettere in campo. 
 
Si apre ora il dopo campionato, con i giocatori Italiani chiamati da Sacchetti in nazionale alla ricerca del pass olimpico, da staccare in quel di Belgrado tra il 29 giugno e il 4 luglio. Per le squadre di club invece sarà tempo per lavorare sulla nuova stagione, per la quale molte sono le panchine che hanno cambiato padrone. Tra i non confermati Dalmasson che viene ora accostato alla Reyer Venezia (in staff con De Raffaele) e che ha lasciato Trieste con “molta amarezza” verso la dirigenza e molta riconoscenza verso i tifosi. Senza panchina anche Massimo Bulleri, nonostante la difesa a spada tratta per tutto l’anno del suo GM Conti, che ne ha sempre esaltato le doti tecniche e umane. Non sono bastati al coach di Cecina, subentrato al defenestrato Caja, la salvezza ottenuta a fine campionato e neanche l’altro anno di contratto con Varese, che del resto non era bastato neanche al suo predecessore Caja.
 
Non è stato confermato alla guida della Fortitudo neanche Dalmonte, a cui la “F”, nonostante la salvezza insperata, ha preferito coach Repesa, che ha lasciato senza padrone la panchina di Pesaro, dove ora non verrà ricordato con piacere da dirigenti e tifosi che speravano con il coach bosniaco di aver aperto un ciclo. Esonerato anche coach Pozzecco, che termina così la sua avventura in Sardegna, dopo essere stato più volte sull’orlo dell’esonero, poi rientrato, ma di fatto senza mai essere riuscito a legare con il patron Sardara, poco incline a tollerare ombra dovuta al carattere altrui. Ha cambiato timoniere anche la Leonessa Brescia che dopo un anno con Buscaglia, affidando il timone della nave a coach Alessandro Magro, così come è saltata anche la panchina di Cantù, che non ha rinnovato il contratto a Bucchi, che non è riuscito a salvare la squadra dalla retrocessione. 
 
Un mestiere difficile quello dell’allenatore di basket, soggetto a esoneri facili e a una delega di gioco, quasi obbligatoria verso i giocatori in campo, padroni assoluti degli attacchi e un po’ meno dei risultati. Mestiere anche poco sicuro, se pensiamo che proprio Djordjevic, allenatore campione in carica, molto difficilmente sarà riconfermato per la prossima stagione, sostituito probabilmente da Sergio Scariolo, sempre che il coach bresciano sia disposto a rinunciare alla NBA e alle offerte che ogni estate gli piovono addosso dalle squadre europee di Eurolega. 

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