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Redazione

14.07.2014 ( Aggiornata il 14.07.2014 10:34 )

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La Germania è campione del mondo per la prima volta da quando è avvenuta la sua riunificazione, con un merito che definire pieno è poco. Non ci riferiamo certo alla finale, partita tirata e bellissima con tanti episodi a favore sia dell'Argentina che dei tedeschi che avrebbero tutti potuto rompere l'equilibrio, ma all'idea di raggiungere un obbiettivo attraverso il gioco e soprattutto attraverso la costruzione di una squadra. Concetti banali a livello di club ma rivoluzionari per le grandi nazionali, da sempre concepite come assemblaggio più o meno felice di campioni (quando ci sono) e di giocatori 'in forma'. In Italia, per fare esempi più vicini a noi, ci hanno provato a parole Fabbri, Sacchi e lo stesso Prandelli, tradendo però sé stessi (al di là dei risultati: in fondo nel '94 l'Italia perse la finale ai rigori e quest'anno sarebbe bastato un minimo di fortuna per passare almeno il primo turno) una volta arrivati al grande appuntamento con la storia. Low da 8 anni da solo e prima ancora come ideologo di Klinsmann sta lavorando in questa ottica, che si accompagna al successo imprenditoriale della Bundesliga ma che non ne è di sicuro una diretta conseguenza. Se no l'Inghilterra sarebbe campione del mondo per distacco... Poi che 17 convocati su 23 abbiano giocato nell'ultima stagione in patria può aiutare a livello organizzativo, ma non è che Ozil e Schurrle siano sembrati spaesati o emarginati. Il punto di partenza è che la Germania ai Mondiali dà sempre il massimo, riuscendo a gestire invidie e problemi personali nel nome del bene comune (e questo atteggiamento purtroppo non si può importare) per non dire del nazionalismo: potrebbe testimoniarlo Miro Klose, unico reduce della squadra che Voller portò miracolosamente alla finale 2002 persa contro il Brasile di Ronaldo (e di Scolari...). Dal dopo Euro 2004 (dove c'erano già un 21enne Lahm, un 20enne Schweinsteiger e un 19enne Podolski, onore quindi a Voller) è però avvenuto il cambio di passo: terzo posto al Mondiale di casa, sconfitti in semifinale dagli azzurri di Lippi in una semifinale all'ultimo respiro, finalisti a Euro 2008 battuti 1-0 dalla Spagna, terzi al Mondiale sudafricano con altro successo spagnolo per 1-0 in semifinale, semifinalisti a Euro 2012 battuti da Balotelli. A Rio avrebbe potuto tranquillamente vincere l'Argentina, ma il discorso non sarebbe cambiato: nella storia del calcio la Germania è l'unica grande nazionale che ha sempre dato il massimo delle proprie possibilità, anche quando ha incrociato generazioni mediocri. Quando poi trova i talenti e la volontà di farli crescere insieme, fermarla diventa difficile. Conclusione? La cura dei vivai, che peraltro non è un'esclusiva della Germania, è solo una delle condizioni che creano un sistema 'buono'. Il resto lo fa la squadra e la capacità di guidarla, a meno di non credere che la somma dei valori individuali di Brasile, Argentina e Spagna (ci metteremmo anche l'Italia, se non si fosse in clima di disfattismo cosmico) sia inferiore a quella dei tedeschi. Twitter @StefanoOlivari

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