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Redazione

08.08.2013 ( Aggiornata il 08.08.2013 11:24 )

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Il fallimento del progetto Anzhi, se mai sia esistito un progetto Anzhi diverso da quello di spendere cifre assurde per convincere campioni a trasferirsi (per modo di dire, perché la squadra vive e si allena a Mosca) in Daghestan, stupisce solo chi pensa che i soldi siano illimitati. Ed in effetti tecnicamente è proprio così, specialmente per i paesi che battono moneta in proprio come appunto la Russia. Ma Sulejman Kerimov non è a capo della banca centrale e adesso deve vendere i suoi gioielli, dove vendere significa svendere. Da Eto'o a Zhirkov, passando per Denisov e Willian, sarà difficile trovare a metà agosto il mercato che c'era due mesi fa, ma liberarsene sarà sempre meglio che continuare a pagargli un ingaggio (che in rubli non accetterebbero). Siccome ci sforziamo di trovare un senso alle cose, anche quando un senso non c'è, questa vicenda dimostra una volta di più che i soldi possono comprare tutto ma non il contesto ambientale in cui una squadra di calcio opera. I calciatori non sono foche ammaestrate, esibirsi davanti ai quattro gatti di Kaspiysk (anche se il club ha sede nella vicina Makhachkala, capitale del Daghestan) non è come farlo al Bernabeu o a San Siro, ma soprattutto non è che una storia si inventi in due anni. Il Manchester City già era in quella del calcio a prescindere dagli sceicchi, il Paris Saint-Germain anche. In due anni di Kerimov sono arrivati all'Anzhi giocatori affermati e campioni bolliti (su tutti Roberto Carlos, adesso dirigente del club), ma anche un allenatore come Hiddink che non a caso ha schettinamente abbandonato la nave prima che affondasse. E quindi? Ogni squadra di calcio è espressione di un posto e di un popolo ben precisi, per questo tutti la sentiamo parte della nostra identità. Le fusioni fredde qui non funzionano. Twitter @StefanoOlivari

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