        Parlare di terzini brasiliani apre il campo a considerazioni che vanno oltre l&rsquo;aspetto meramente difensivo del gioco. In qualunque epoca, provenienti da qualsiasi stato della federazione, i giocatori chiamati a tenere quella posizione ne hanno dato un&rsquo;interpretazione estensiva che per i canoni del calcio europeo sono stati a lungo inusuali, con quella dedizione orientata pi&ugrave; alla fase offensiva che a quella di contenimento che ha reso spesso il laterale difensivo un giocatore pi&ugrave; prossimo a centrocampisti ed attaccanti che ai compagni di reparto. L&rsquo;esperienza con l&rsquo;Inter A questa descrizione non ha fatto eccezione uno dei migliori protagonisti del ruolo tra gli anni Novanta e i Duemila: Roberto Carlos. Compatto nelle dimensioni corporee (168 centimetri per circa 70 chili di peso), velocissimo grazie anche a quadricipiti molto sviluppati (correva i 100 metri in meno di 11 secondi), il terzino paulista si affacci&ograve; al calcio del vecchio continente poco pi&ugrave; che ventenne con un curriculum gi&agrave; interessante maturato in patria col Palmeiras, club con il quale aveva vinto due campionati brasiliani e si era guadagnato l&rsquo;ingresso in nazionale. Fu l&rsquo;Inter a portarlo in Italia ma l&rsquo;impronta che lasci&ograve; nella nostra serie A non faceva immaginare il prosieguo di carriera che attendeva quel ragazzo che nel nostro campionato sembr&ograve; un po&rsquo; spaesato. Colpa dell&rsquo;et&agrave;; pi&ugrave; ancora, probabilmente, di una stagione particolarmente tribolata per i nerazzurri, che videro sedere in panchina, in rapida successione, Ottavio Bianchi, Luis Suarez e Roy Hodgson. Soprattutto il tecnico inglese non vide in Roberto Carlos prospettive di sviluppo, avallando senza problemi la sua partenza verso Madrid e preferendo puntare sulla crescita di Alessandro Pistone. Una fortuna per il brasiliano, un&rsquo;occasione perduta per i nerazzurri. Gli anni col Real Madrid Indossando la camiseta blanca, nelle stagioni successive entr&ograve; di diritto nella storia del club facendo parte di quella (quasi) invincibile armata che in un decennio seppe conquistare tre Champions League, due Coppe Intercontinentali e quattro campionati spagnoli: i Galacticos. Nel Real Roberto Carlos trov&ograve; la sua dimensione ideale di terzino sinistro a tutta fascia: debordante in attacco, dove riusciva con la stessa facilit&agrave; ad arrivare al cross o accentrarsi per provare la conclusione dalla distanza, e accorto in difesa, arricchito dai suggerimenti in materia di Don Fabio Capello. Anche la Nazionale gli aveva riaperto le porte: dopo averlo illuso con le prime convocazioni arrivate nel 1992, la Sele&ccedil;&atilde;o gli aveva improvvisamente voltato le spalle proprio in occasione del Mondiale di USA 94, togliendogli la possibilit&agrave; di diventare campione del mondo. Ma proprio da chi giocava nel suo ruolo riusc&igrave; a imparare uno dei colpi migliori del suo repertorio: il calcio di punizione tirato a tre dita con l&rsquo;impatto sulla valvola del pallone. Fu Claudio Branco a mostrargli la dinamica del movimento che lui seppe replicare rendendo i suoi tiri dalla distanza degli strumenti determinanti per risolvere le partite. Ed &egrave; proprio grazie al miglioramento della tecnica di tiro che Roberto Carlos &egrave; rimasto impresso nella memoria dei calciofili con una punizione che, seppur realizzata in un torneo amichevole, viene ricordata per la sua inarrivabile perfezione. La punizione di Lione Il gol che segn&ograve; a Lione il 3 giugno 1997 aveva qualcosa di fantascientifico, una parabola a met&agrave; tra la potenza e la tecnica che solo gli ideatori dei cartoni animati giapponesi avrebbero potuto avere la fantasia di disegnare. Un tiro da trentacinque metri che sembrava destinato a finire sugli spalti prima di tornare magicamente verso il palo interno abbassando la traiettoria; un maglio perforante che seguiva una curva a rientrare simile a quella che tracciano i frisbee lanciati controvento. Un prodigio che non ha deciso un Mondiale o una Champions League ma &egrave; rimasto nella storia del calcio come un paradigma da spiegare ai ragazzini delle scuole per poter imparare. Che tanto Roberto Carlos nella storia del calcio ha saputo scrivere anche le pagine nelle quali si parla di trofei. Mondiali e Champions Dopo aver mancato il Mondiale del 1994, arriv&ograve; in finale nel 1998 e vinse nel 2002 con gli amici di una vita: Cafu, suo alter ego sulla fascia destra, e Ronaldo, compagno di stanza di infiniti ritiri, tanto da spingerlo a dichiarare: &rdquo;Ho dormito pi&ugrave; con lui che con mia moglie&rdquo;. Qualche settimana prima era stato protagonista anche della finale di Champions League vinta dal Real Madrid contro il Bayer Leverkusen fornendo gli assist a Raul e Zidane per i loro gol decisivi. Un 2002 magico quello di Roberto Carlos, che si concluse col secondo posto nella classifica del Pallone d&rsquo;Oro, che quell&rsquo;anno spett&ograve; di diritto al Fenomeno Ronaldo. Terminata l&rsquo;esperienza a Madrid, il terzino brasiliano continu&ograve; la carriera con Fenerbache, Corinthians e Anzhi oltre a firmare un&rsquo;estrema, fugace apparizione nell&rsquo;Indian Super League. Polvere di stelle per un giocatore che &ldquo;se lo definisco l''uomo proiettile', o la 'formica atomica, &egrave; perch&eacute; il suo gioco mi suggerisce solo paragoni esplosivi. Terzino da un estremo all'altro del campo; vicino a una bandierina del corner toglie il pallone all'avversario e vicino all'altra bandierina crossa, tira, o le due cose insieme. La virt&ugrave; di cui vive, che lo rende unico e della quale a volte abusa, &egrave; la potenza&rdquo;. Parola di Jorge Valdano.       

<p>Protagonista nel Real Madrid, nel 2002 vinse il Mondiale con il Brasile. Oltre che per i trofei, &egrave; ricordato per il modo devastante con cui calciava dalla lunga distanza&nbsp;</p>

Roberto Carlos, il terzino dalle punizioni galattiche

        In estate, ogni storia sembra una favola. &Egrave; il tempo degli innamoramenti e delle trattative di calciomercato, di sogni che a volte durano lo spazio di una stagione. La ricerca del colpo a effetto accomuna tutti i presidenti, e tutti i tifosi. Ma non sempre quei colpi ottengono l&rsquo;effetto voluto. Negli anni Novanta, quando la Serie A era il campionato pi&ugrave; bello e ambito del mondo grazie alle Sette Sorelle, la corsa al campione straniero ha allargato gli orizzonti dei sogni e arricchito i cassetti dei rimpianti. Ne sa qualcosa l&rsquo;Inter, che tra la fine della presidenza Pellegrini e l&rsquo;inizio della gestione di Massimo Moratti, ha guardato all&rsquo;estero per tentare di reggere la concorrenza del Milan.  Bergkamp e Jonk: i due olandesi all'Inter  Nell&rsquo;estate del 1993, con questo obiettivo Pellegrini ha annunciato ai giornalisti l&rsquo;acquisto di due calciatori olandesi che spiazzano tutti: Dennis Bergkamp, per cui la societ&agrave; investe i soldi incassati per la vendita di un altro incompreso in Italia, il tedesco Matthias Sammer futuro Pallone d&rsquo;Oro; e Wim Jonk. Bergkamp &egrave; considerato l&rsquo;erede di Van Basten all&rsquo;Ajax, con cui ha segnato pi&ugrave; di 100 gol. Ma soprattutto era il primo nome nella lista della Juventus, che per&ograve; pare non abbia accettato la sua pressione per avere con s&eacute; anche Jonk. L&rsquo;Inter, invece, dice s&igrave;. Non &egrave; la prima volta che ha vissuto situazioni simili. Andreas Brehme, terzino tedesco che segn&ograve; il rigore decisivo nella finale dei Mondiali del 1990, passava come il &ldquo;pacco regalo&rdquo; per arrivare a Lothar Matth&auml;us. L&rsquo;attaccante olandese ha anche meditato di lasciare il calcio, ma il suo senso estetico per il gioco non si adatta a una squadra che ingloba stranieri ma gioca all&rsquo;italiana. Non a caso andr&agrave; a illuminare l&rsquo;Arsenal insieme a un&rsquo;altra stella vittima di una clamorosa incomprensione nella storia della Serie A.  Vieira, una sola stagione al Milan C&rsquo;&egrave; l&rsquo;Arsenal anche nel destino di Patrick Vieira. Quando, da teenager, il centrocampista era soltanto una promessa del Cannes, Ariedo Braida ha l&rsquo;intuizione giusta e per sette miliardi lo porta al Milan. &Egrave; l&rsquo;estate del 1995. In quel campionato, che il Milan chiuder&agrave; vincendo lo scudetto, gioca appena due partite. Fabio Capello lo considera troppo acerbo e Oscar Tabarez, che lo sostituisce nell&rsquo;estate del 1996, non lo vede proprio. Vieira accetta cos&igrave; l&rsquo;offerta dell&rsquo;Arsenal, che lo paga 4,5 milioni di sterline. Il resto, come si dice in questi casi, &egrave; storia.  Henry alla Juventus  Si tratta, naturalmente, del francese Thierry Henry. Nei suoi sei mesi e mezzo alla Juventus, ha spiegato di aver giocato quasi tutte le partite senza comprendere esattamente quale dovesse essere il suo ruolo. Carlo Ancelotti lo schierava da tornante, defilato e lontano dalla porta. Non ha mai capito che il suo posto &egrave; da attaccante, e lo considera ancora oggi il pi&ugrave; grande errore della sua carriera insieme al no a Roberto Baggio quando allenava il Parma.  Estate 1995: Rambert in nerazzurro Il 1995 rester&agrave; nella storia anche per l&rsquo;arrivo in Italia, sempre all&rsquo;Inter, di Sebastian Rambert e Roberto Carlos. Rambert &egrave; un attaccante argentino di vent&rsquo;anni che ha esordito giovanissimo nell&rsquo;Independiente con cui ha segnato 14 gol. Ha un fisico esile e un talento ammirato da molti. Perfino il grande Omar Sivori ne resta colpito e prova a convincere la Juventus ad acquistarlo. Non nasconde il suo rammarico, poi, quando l&rsquo;argentino prende la via di Milano. Costato cinque miliardi, Rambert si rivela un giocatore acerbo, dal carattere chiuso, che spesso vaga per il campo completamente estraneo alla manovra dell&rsquo;Inter. Nemmeno il cambio di allenatore, il passaggio da Ottavio Bianchi all&rsquo;inglese Roy Hodgson, cambiano le cose. Rambert verr&agrave; venduto e non realizzer&agrave; mai quel potenziale annunciato tra enormi fanfare. Nel corso della stagione, Moratti &egrave; costretto a dare ragione a Diego Maradona, che elogia l&rsquo;altro argentino arrivato dal Banfield, Javier Zanetti, per cinque miliardi ma praticamente a fari spenti. &ldquo;Il vero colpaccio l&rsquo;Inter l&rsquo;ha fatto con Javier Zanetti, che &egrave; un autentico fenomeno, altro che Rambert&rdquo;. Game, set and match per il Pibe de Oro.   Moratti e i 10 miliardi per Roberto Carlos Moratti ha azzeccato un altro colpo in quel 1995. Per dieci miliardi di lire dell&rsquo;epoca, ha acquistato un terzino sinistro brasiliano di 22 anni che sogna di diventare il migliore del mondo nel suo ruolo, Roberto Carlos. L&rsquo;impatto &egrave; devastante: segna 4 gol nelle prime 5 partite. Sigilli che diventeranno la sua condanna. &ldquo;Mi hanno spostato in una posizione pi&ugrave; avanzata, mi hanno fatto giocare anche come attaccante e ho sofferto molto - dir&agrave; anni dopo in un&rsquo;intervista pubblicata sul canale Instagram della FIFA -. Ho parlato con il presidente per dirgli che non potevo giocare in quella posizione, perch&eacute; poi ci sarebbe stata la Coppa America e per essere convocato dovevo fare l&rsquo;esterno&rdquo;. Non ci pu&ograve; credere Fabio Capello, allenatore dei Blancos, che si fa mandare un fax per leggere nero su bianco che davvero l&rsquo;Inter l&rsquo;ha messo in vendita. E chiede al presidente Lorenzo Sanz di fare di tutto per portarlo a Madrid. L&rsquo;accordo, racconter&agrave; Roberto Carlos, lo troveranno in dieci minuti. La Serie A perde il simbolo dei campioni incompresi che hanno attraversato il nostro calcio negli anni Novanta.       

<p>Da Roberto Carlos a Vieira, passando per Henry e Bergkamp: i giocatori che hanno deluso per poi esplodere nelle squadre estere</p>

Calciomercato anni '90: errori di valutazione e campioni incompresi

Il fallimento del progetto Anzhi, se mai sia esistito un progetto Anzhi diverso da quello di spendere cifre assurde per convincere campioni a trasferirsi (per modo di dire, perch&eacute; la squadra vive e si allena a Mosca) in Daghestan, stupisce solo chi pensa che i soldi siano illimitati. Ed in effetti tecnicamente &egrave; proprio cos&igrave;, specialmente per i paesi che battono moneta in proprio come appunto la Russia. Ma Sulejman Kerimov non &egrave; a capo della banca centrale e adesso deve vendere i suoi gioielli, dove vendere significa svendere. Da Eto'o a Zhirkov, passando per Denisov e Willian, sar&agrave; difficile trovare a met&agrave; agosto il mercato che c'era due mesi fa, ma liberarsene sar&agrave; sempre meglio che continuare a pagargli un ingaggio (che in rubli non accetterebbero). Siccome ci sforziamo di trovare un senso alle cose, anche quando un senso non c'&egrave;, questa vicenda dimostra una volta di pi&ugrave; che i soldi possono comprare tutto ma non il contesto ambientale in cui una squadra di calcio opera. I calciatori non sono foche ammaestrate, esibirsi davanti ai quattro gatti di Kaspiysk (anche se il club ha sede nella vicina Makhachkala, capitale del Daghestan) non &egrave; come farlo al Bernabeu o a San Siro, ma soprattutto non &egrave; che una storia si inventi in due anni. Il Manchester City gi&agrave; era in quella del calcio a prescindere dagli sceicchi, il Paris Saint-Germain anche. In due anni di Kerimov sono arrivati all'Anzhi giocatori affermati e campioni bolliti (su tutti Roberto Carlos, adesso dirigente del club), ma anche un allenatore come Hiddink che non a caso ha schettinamente abbandonato la nave prima che affondasse. E quindi? Ogni squadra di calcio &egrave; espressione di un posto e di un popolo ben precisi, per questo tutti la sentiamo parte della nostra identit&agrave;. Le fusioni fredde qui non funzionano.  Twitter @StefanoOlivari

Ricchi, Anzhi no

Suleiman Kerimov e il suo calciatore pi&ugrave; famoso hanno scritto una nuova pagina del volume 'Panem et circenses'. Il campione del mondo 2002 ha infatti festeggiato i 38 anni domenica scorsa con un regalo di quelli che non si ricevono a tutti i compleanni, nemmeno facendo i calciatori. Il suo presidente dell'Anzhi, squadra russa in cui il laterale sinistro gioca da qualche mese, (proprio quel Kerimov che nel 2004 voleva comprare la Roma) gli ha regalato un'auto da 900mila euro, una Bugatti Veyron. Lo documenta, con tanto di foto, il sito brasiliano 'Globoesporte', che a sua volta cita come fonte quello russo 'Moi Daghestan '. Viene mostrato anche un video della festa, in cui il giocatore si mostra sorpreso di ricevere da Kerimov un modellino della vettura. Ma subito dopo il magnate dice al calciatore che una Bugatti autentica &egrave; pronta per lui fuori dall'hotel in cui si sta svolgendo la festa. Roberto Carlos esce, ed effettivamente trova ad attenderlo la Bugatti Veyron, mezzo che pu&ograve; toccare i 434,16 km/h e che per questo &egrave; considerata l'auto da strada pi&ugrave; veloce al mondo. E non ce n'&egrave; solo per Roberto Carlos, perch&eacute; Kerimov ha promesso una Bugatti a ogni componente della rosa se entro i prossimi 4 anni la squadra vincer&agrave; almeno un campionato russo. Tutto molto bello e simpatico, la classica 'breve' per alleggerire pagine sportive piene di dichiarazioni pesantissime. In realt&agrave; Kerimov, l'ennesimo magnate russo nel settore dell'energia (ma quanti ce ne sono?), ha ambizioni politiche ai massimi livelli. E una Bugatti, pagata magari dalle bollette dei pensionati italiani, all'interno di questo grande disegno &egrave; poca cosa.

Suleiman Kerimov e il suo calciatore pi&ugrave; famoso hanno scritto una nuova pagina del volume 'Panem et circenses'. Il campione del mondo 2002 ha infatti festeggiato i 38 anni domenica scorsa con un regalo di quelli che non si ricevono a tutti i compleanni, nemmeno facendo i calciatori...

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Una Bugatti per Roberto Carlos