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Di Matteo non ha rubato

Redazione

21 maggio 2012

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Forse Roberto Di Matteo sarà riconfermato da Roman Abramovich sulla panchina del Chelsea, forse no: mentre scriviamo queste righe il magnate russo sta meditando sul da farsi, alla luce non solo dei trionfi in FA Cup e soprattutto nell'agognata Champions League, ma anche dell'apprezzamento umano che Di Matteo si è guadagnato presso i giocatori e la stampa. Quello che è certo è che nei giudizi sull'operato dell'allenatore italiano, che ha alzato un trofeo che a parità di soldi investiti nel Chelsea era sfuggito a Ranieri, Mourinho, Grant, Scolari, Hiddink, Ancelotti e Villas Boas, l'immagine di giovane emergente e soprattutto il passaporto hanno pesato tantissimo. Perché Di Matteo non solo è italiano, anche se lui amaramente ha spiegato di essere sempre stato considerato straniero in ogni posto (anche in Italia), ma non si vergogna di giocare all'italiana nel senso spregiativo che gli stranieri danno a questa espressione. Bisogna secondo noi partire da qui per analizzare l'impresa di una squadra che poteva tranquillamente essere buttata fuori dal Napoli negli ottavi di finale, che ha superato il Benfica nei quarti grazie ad un dichiarato difesa-contropiede all'andata, ed è stata poi letteralmente graziata da Barcellona e Bayern non solo per i rigori di Messi e Robben. Tutto bene, quindi? Andiamo con l'elogio della difesa eroica? Sì e no. Sì perché non esiste una ricetta indiscutibile per vincere o anche solo per giocare a calcio, qui il concetto di 'bene' è davvero soggettivo (mentre è più oggettivo il rapporto fra tiri in porta fatti e tiri subiti, davvero imbarazzante). No perché il Chelsea è una squadra piena di campioni, costruita per gioocare come una squadra di campioni. Che poi questi a seconda delle simpatie dei Drogba e dei Lampard battezzino in un certo modo gli allenatori (amore per Mourinho, indifferenza per Grant, perplessità su Scolari, simpatia per Hiddink, quieto vivere con Ancelotti, antipatia per Villas Boas) fa parte delle dinamiche del calcio. E quindi? Abramovich sa benissimo che cacciare Di Matteo dopo la conquista della più grande vittoria della storia del club sarebbe una mossa criticata dal 90% dei media, ma dopo quasi un miliardo di euro investiti (si fa per dire) in 9 anni potrebbe avere la tentazione di sottolineare che quello che ha vinto è il Chelsea di Abramovich. Di più: da anni il Chelsea è considerata una delle grandi d'Europa non per le sue Champions League in bacheca ma perché ha cambiato status (un po' come sta facendo il Manchester City) attraverso spese da club storico. Sì può dire che questa Champions League sia stata uno spot contro il fair play finanziario: contando solo sul proprio bacino di utenza tradizionale le squadre medie rimarrebbero medie a vita, per cambiare passo ci vogliono soldi dall'esterno del sistema. Detto questo, onore comunque a Di Matteo, che come minimo ha dimostrato di essere un grande motivatore: fra l'altro straordinario il 'numero' dei videomessaggi dei familiari mostrati ai giocatori prima della partita (fonte Guardian). Vincere giocando peggio degli avversari è nella natura stessa del calcio, rubare (verbo che usiamo perché l'abbiamo ascoltato in qualche commento all'impresa) invece è un'altra cosa. E il Chelsea lo sa benissimo, visto che in Europa spesso è stato nella parte del derubato. Di Matteo invece ha vinto. Stefano Olivari, 21 maggio 2012

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