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Un altro calcio è ancora possibile

Un altro calcio è ancora possibile

Recensione del libro di Riccardo Cucchi e intervista all'autore. L’opera utilizza lo sport più amato al mondo, per denunciare le discriminazioni, osservando i delitti nascosti dietro al velo arabescato dei petroldollari. 

Annibale Gagliani

17.10.2023 11:51

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«Raccontare il calcio è come raccontare la vita», parola di Riccardo Cucchi, voce leggendaria di Tutto il calcio minuto per minuto. All’interno della rassegna intellettuale Conversazioni Sul Futuro, a Lecce, il narratore da brivido nell’orecchio ha presentato la sua ultima fatica letteraria: un libro civile, d’intensa energia umanitaria: Un altro calcio è ancora possibile (People). L’opera utilizza lo sport più amato al mondo, ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, come veicolo popolare per denunciare le discriminazioni, osservando i delitti nascosti dietro al velo arabescato dei petroldollari. Pagine che invocano la fratellanza tra etnie, restituendo la fantasia ai bambini, schiacciati dalla bramosia di risultati delle scuole calcio e dalle aspirazioni di genitori: 

«Ho la convinzione che la crisi tecnica del calcio italiano sia in parte dovuta al fatto che i ragazzini non siano più liberi di dribblare. Di dribblare un parroco, un avversario, una macchina che si addentri per la strada trasformata in campo di gioco. In quel cartello c’è forse la ragione vera che ha impedito all’ex commissario tecnico della Nazionale Roberto Mancini di qualificarsi al Mondiale di calcio. E che lo ha impedito, prima ancora, anche all’altro CT, Gian Piero Ventura. Otto anni senza un Mondiale da giocare. Ma da quanti anni i ragazzini non giocano più per strada?» (p. 11).

Il viaggio letterario parte dalla sagoma valorosa di un uomo, insegnante d’esistenza: don Vincenzo, il parroco della parrocchia romana nella quale Cucchi giocava a pallone sbucciando le ginocchia, col sottofondo delle radiocronache di Ciotti, Ameri, Provenzali, Ferretti e Luzi alla radiolina. L’autore non è mai stato un giornalista ‘catenacciaro’ nell’esposizione dei propri ideali, schierandosi a favore dei più deboli: nel libro vengono citati personaggi e sportivi di assoluta statura umana, come Nelson Mandela, Socrates, Gary Lineker – che ospita rifugiati nella sua casa londinese – e Natali Shaeen, calciatrice palestinese simbolo della lotta contro la violenza di genere. Non mancano selezioni di momenti epici del calcio internazionale e citazioni storiche, sinuose, di Luis Borges ed Eduardo Galeano, per restituire l’essenza della passione di un tifoso verso un campione a prescindere dal club d’appartenenza:

«“Faceva scorrere la palla sulla linea laterale e si lanciava con gli stivali delle sette leghe distendendosi senza sfiorare il pallone, né toccare i propri avversari; e io non avevo altro rimedio che ammirarlo, avevo voglia di applaudirlo”. Il tifoso Galeano, in questo caso, applaudiva El Pardo Abbadie, giocatore del Peñarol, una squadra che considerava avversaria. Descrivere un calciatore con gli occhi della passione e della fantasia significa dimostrare fedeltà al calcio, in qualche modo rendere merito al gioco, che ha bisogno d’interpreti capaci di fare cose che i comuni mortali riescono appena a sognare la sera, prima di addormentarsi nel proprio letto, immaginandosi campioni» (p.31).

Cucchi ha condiviso emozioni con milioni di tifosi italiani, toccati come nella Creazione d’Adamo attraverso il suo indelebile «Rete!», che scorre indistintamente sul terreno dell’Olympiastadion il Berlino il 9 luglio 2006, nella notte più importante di tutte, o sul ginepraio della peggiore neopromossa. Il segreto del calcio, della sua potenza, in fondo è nel momento catartico: il gol.

Intervista

Quel bambino che secondo Borges calcia qualcosa per strada e dà vita alla storia del calcio, è ora di lasciarlo libero di dribblare fuori dai tatticismi e dalle mercificazioni?

«Direi di sì. Guardare un po’ indietro, senza subire l’inganno della nostalgia, per comprendere che il calcio ha bisogno di libertà e fantasia. I bambini, prima della tattica, devono poter esprimere se stessi calciando un pallone e osando. Inseguire un sogno è il punto di partenza della storia del calcio. Sono sempre più rari i bambini che scelgono la strada per giocare. Non è un buon segno».

Nel libro ritroviamo un’espressione poetica di Sandro Ciotti, il campo per destinazione, laddove il terreno si apre e il gioco comincia. In un calcio con sempre più app on demand e meno gente allo stadio, l’incontro che lei racconta tra il giovane tifoso e il campo, nella speranza di urlare rete!, è quell’emozione pura che rimane per sempre. Come possiamo preservarla?

«Portando i bambini allo stadio, strappandoli alle app e alla Tv e vivendo con loro le emozioni della “prima volta”. Ma per poterlo fare è necessario che il calcio comprenda che non si possono pagare 40/70 euro per un settore popolare e che lo stadio deve essere gioia e divertimento. Il razzismo e la violenza allontanano i bambini e le famiglie. Da una parte è necessario un calcio autenticamente “popolare” e dall’altra è necessario espellere i razzisti».

Lo sportwashing della corona reale saudita e degli Emirati Arabi ha alterato gli equilibri del mercato, portando il business calcistico alla sua massima espressione impersonale. Spesso parliamo di “soldi insanguinati”. Secondo lei è un processo inesorabile o realtà sportive a misura di persona, come il Lecce ad esempio, potranno ancora resistere?

«Debbono continuare ad esistere realtà come il Lecce, pena la fine del calcio come sport. Se l’obiettivo è quello di farlo diventare puro spettacolo a beneficio della televisione, significherebbe trasformare il calcio in una sorta di “wrestling” e sottrarlo ai suoi valori fondanti. Lo sportwashing è il tentativo di strumentalizzare il calcio e i suoi tifosi per nascondere la polvere sotto il tappeto. E la polvere che si vuole nascondere è la polvere dei diritti umani violati. In cambio di soldi e silenzio. Il Mondiale del Qatar è stato un mondiale “sbagliato”. È necessario non ripetere gli stessi errori».

Il suo libro indica lo sport come mezzo per fare cadere i muri delle discriminazioni. Cita esempi virtuosi come Mandela, Lineker, la calciatrice palestinese Natali Shaeen e tanti altri. In questo tempo molto complesso, cosa può insegnarci oggi lo sport?

«Lo sport non può cambiare il mondo. Non ci riescono nemmeno la politica e la diplomazia. Ma può inviare un messaggio: il mondo può essere migliore. A una condizione: che non giri la testa dall'altra parte e che abbassi l'asticella della sua voracità economica. Pretendere più soldi perché quelli usati sono stati spesi male non è una ricetta vincente. Non lo è per nessuna “impresa”».

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