Juan Carlos Lorenzo, uno stratega del futbol a ogni latitudine

Juan Carlos Lorenzo, uno stratega del futbol a ogni latitudine

A cento anni dalla nascita, il ricordo di Don Juan, tecnico argentino che allenò Lazio e Roma prima di portare il Boca Juniors in cima al mondo

Simone Pieretti/Edipress

20.10.2022 ( Aggiornata il 20.10.2022 12:41 )

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Don Juan lasciò Roma senza salutare nessuno. Neanche il suo presidente, che lo aveva riportato in Italia con l’illusione di salvare una squadra alla deriva, spaccata all’interno, logorata dai personalismi e dai problemi societari. Tradito dai suoi giocatori - dal suo mondo - e condannato dal suo connazionale Maradona, Juan Carlos Lorenzo sparì nella notte romana dopo una sconfitta per 4-0 subita a Napoli. Era l’ultima domenica di febbraio: non lo rividero più.

L’ultima avventura nella Lazio è carica di sceneggiature e povera di punti. Richiamato a Roma da Giorgio Chinaglia - accolto come salvatore della patria - si scontrò con una realtà troppo distante dal suo immaginario. Gli aneddoti dell’ultima esperienza laziale hanno già dato ampio spazio alla letteratura sportiva; era ossessionato dal numero otto che considerava come un amuleto, era terrorizzato dalla presenza di osservatori delle squadre avversarie; più di una volta - pur di non svelare i suoi piani alle fantomatiche spie - annullò gli allenamenti. Era questa, una fobia che lo portava a sospettare di chiunque; a Fregene - in un ritiro pre-partita - costrinse il suo secondo Giancarlo Oddi ad allontanare un personaggio che circolava in maniera sospetta nella hall dell’albergo: era il proprietario (!) che minacciò di cacciare all’istante l’intera squadra. Imponeva all’autista del pullman sociale di passare con il semaforo rosso per propiziare i successi casalinghi, mettendo a rischio la vita dei giocatori. Quando perdeva, pretendeva che venisse bruciata l’intera muta di maglie. Imponeva riti, diete e una disciplina militare. In quell’inverno del 1985, ottenne dieci punti in 18 partite: l’addio fu scontato. Si giocò in Argentina gli ultimi spicci di una gloria antica, già incassata nelle esperienze vincenti. A cento anni dalla sua nascita (Buenos Aires, 20 ottobre 1922) va riconsegnato alla storia un ritratto più autentico di un grande interprete del calcio.

Prescelto in zona Cesarini

Fu un giocatore di buon livello, muove i primi passi nel Chacarita, poi il leggendario Renato Cesarini - ex calciatore della Juve e della Nazionale - lo sceglie per la terza squadra del River Plate. Quella con i Millonarios è un’esperienza fugace: al Monumental si esibisce la “Maquina” con Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna, Loustau; in Sudamerica - ancora oggi - considerato il quintetto d’attacco più forte di tutti i tempi. Il fallimento nel provino non lo frena, torna al Chacarita, poi viene tesserato dal Boca Juniors; Lorenzo è una mezz’ala duttile, all’occorrenza può adattarsi in ogni zona del fronte offensivo. Gioca un’altra stagione in Argentina nel Quilmes, poi si trasferisce in Italia.

Lorenzo in Europa

Quattro stagioni con la maglia della Sampdoria, tanti infortuni e diciannove gol. Lorenzo approda in blucerchiato a 25 anni, quando ha già speso gli anni migliori della propria carriera. Dimostra le proprie qualità con alterne fortune, ma dopo quattro stagioni a Genova, accetta la proposta del Nancy. In Francia il tecnico Jacques Favre lo spinge a iscriversi a un corso per allenatori organizzato dalla English League: in cattedra c’è Walter Winterbottom, l’allenatore dell’Inghilterra. Nella sua testa - pur continuando a giocare - c’è solo la panchina; a Maiorca fa il player manager, e vince due campionati: per la prima volta nella storia, la formazione maiorchina viene promossa nella Liga spagnola.

La Nazionale argentina e il tradimento capitale

L’exploit nel Maiorca richiama l’attenzione dei dirigenti argentini che lo scelgono come Commissario tecnico dell’Argentina alla vigilia dei Mondiali cileni del 1962. La spedizione non è propizia; l’Albiceleste vince contro la Bulgaria e perde contro l’Inghilterra. Il pareggio contro l’Ungheria serve a poco. Lorenzo lascia la Nazionale, e accetta in corsa l’offerta della Lazio che riporta in Serie A al primo colpo. Il tecnico argentino è preparatissimo, conosce ogni minimo dettaglio degli avversari, gioca sulle loro debolezze. Ma Lorenzo, dopo una salvezza sofferta pretende dalla società un organico di qualità; il presidente Miceli delude le sue aspettative; nel giugno 1964 va in scena il grande tradimento: Lorenzo firma con la Roma! Dall’altra parte del Tevere, la situazione economica è anche peggiore; la colletta del Sistina è il punto più basso della storia giallorossa: la Roma ha un miliardo di deficit. Nonostante tutto, Lorenzo riesce ugualmente a lasciare il segno vincendo la finale di Coppa Italia contro il Torino, in un’appendice della stagione precedente. La dirigenza giallorossa a questo punto gli impone una drastica riduzione dell’ingaggio; Lorenzo - particolarmente attento al vil denaro - fa le valigie e torna in patria.

La buona esperienza in Europa lo riporta sulla panchina della Nazionale argentina, pronta ad affrontare il Mondiale del 1966. Questa volta l’Albiceleste passa il girone battendo Spagna e Svizzera e pareggiando 0-0 contro la Germania. Ma nei quarti di finale va in scena “El robo del siglo”, il furto del secolo. L’Argentina affronta i padroni di casa dell’Inghilterra e perde per uno a zero. L’arbitraggio è a senso unico; già a metà del primo tempo i sudamericani giocano in inferiorità numerica per l’espulsione di Rattin: la rivalità con gli inglesi nasce da qui, e arriva fino ai giorni nostri.

La seconda esperienza laziale

Nel 1967-68 Juan Carlos Lorenzo torna al Maiorca; arriva in corsa, e se ne va in corsa: resta soltanto sei partite, il tempo di salvare la sua squadra dalla retrocessione prima di cedere al nuovo corteggiamento della Lazio. Il tecnico argentino prende la squadra in Serie B, e nel giro di una stagione la riporta nella massima serie. Nel campionato successivo, gli innesti di Pino Wilson e Giorgio Chinaglia, danno una spinta significativa alla Lazio che chiude il torneo con un onorevole ottavo posto. Ma nella stagione 1970-71, i biancocelesti retrocedono: sulla seconda esperienza laziale di Lorenzo arrivano i titoli di coda. 

Il periodo dei trionfi

Alla Lazio il tecnico lascia un pezzo di cuore, ma il ritorno in patria profuma di successo. Sulla panchina del San Lorenzo de Almagro vince il campionato Metropolitano e nel 1972 si aggiudica il campionato Nazionale senza perdere una partita; il percorso dei rossoblù è trionfale, la squadra allenata da Lorenzo batte il Boca alla Bombonera per tre a zero, e il River Plate al Monumental con quattro gol di scarto. Il calcio europeo è un richiamo forte: quando arriva l’offerta dell’Atletico Madrid campione di Spagna, il tecnico sale sull’aereo e torna in Europa. La squadra spagnola partecipa alla Coppa dei Campioni, e compie un percorso netto. Elimina al primo turno il Galatasaray, negli ottavi la Dinamo Bucarest, ai quarti di finale la Stella Rossa e in semifinale gli scozzesi del Celtic. In finale c’è il Bayern Monaco. Gli spagnoli passano in vantaggio al 114’ con Luis Aragones, ma al 120’, il Fato si volta dall’altra parte: Schwarzenbeck prova il tiro della disperazione e trova l’angolo. Si rigioca, e questa volta vincono i bavaresi.

Sul tetto del mondo

Torna in Argentina, e nel 1976 accetta l’offerta del Boca Juniors. La sorte gli restituisce quanto tolto in precedenza; vince il campionato Nazionale e successivamente il Metropolitano, si qualifica per la Copa Libertadores che vince per due anni consecutivi, prima contro i brasiliani del Cruzeiro, poi contro il Deportivo Cali allenato da Carlos Bilardo. Il periodo d’oro culmina - nel 1977 - con la vittoria della Coppa Intercontinentale contro il Borussia Mönchengladbach: i tedeschi - dopo il pareggio ottenuto in Argentina - appaiono favoriti; ma nella finale di ritorno giocata a Karlsruhe, Lorenzo mette in mostra tutte le sue qualità di stratega. Gli argentini segnano tre gol nel primo tempo, e conquistano il “Mondiale per club”.

L’epilogo

Siamo a ridosso del Mondiali del 1978: Lorenzo è in cima al mondo, e potrebbe tornare sulla panchina della Nazionale. L’Albiceleste gioca in casa, tutto lascia presagire che la Coppa del Mondo possa restare a Baires. É l’Argentina dei Generali, dei desaparecidos e delle Madri di Plaza de Mayo; è l’Argentina della dittatura che vede con diffidenza una figura ingombrante e istrionica come quella di Lorenzo: il Generale Videla come D.T. gli preferisce Menotti.

A questo punto, gli anni d’oro di Juan Carlos Lorenzo vanno verso il tramonto; la carriera dell’allenatore inizia la fase discendente, il tecnico vive tante esperienze e pochi successi. L’ultima immagine italiana di Lorenzo è quella di un uomo ricurvo, invecchiato, affranto; l’andamento lento delle sue gambe arcuate evidenzia anche la sua instabilità interiore: col passo incerto - e i capelli impomatati - riprende il proprio cammino verso il Sudamerica, avulso da quel calcio che lo aveva nutrito per decenni, e che ora prova a gettarlo dentro al tunnel dell’anonimato. Ma dall’altra parte dell’Oceano - anche a cento anni dalla sua nascita - continuano a ricordare El Toto Lorenzo con affetto, celebrando l’uomo che per la prima volta nella storia portò il Boca Juniors sul tetto del mondo.

 

 

 

  

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