Simone Braglia: il Genoa, Anfield e 20 anni di carriera

Simone Braglia: il Genoa, Anfield e 20 anni di carriera

Un anti personaggio che ha saputo conquistare la stima di varie tifoserie: "Se ho fatto venti anni il professionista un motivo ci sarà”

Massimiliano Lucchetti/Edipress

22.07.2022 ( Aggiornata il 22.07.2022 17:13 )

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Partito da Ponte Chiasso con il desiderio (esaudito) di giocare allo Stadio Sinigaglia. Simone mette radici nel Genoa, regalando la notte magica di Anfield; continuando ad emozionare con le sue parate anche i Grifoni perugini, concludendo a Como dove tutto era iniziato.

Non voglio partire da una domanda, bensì da un’affermazione: Simone Braglia non è solo il portiere della notte di Anfield. Sei d’accordo?

“Grazie per la tua precisazione. Molto spesso vengo ricordato 'solo' per quella notte, ma se ho fatto venti anni il professionista un motivo ci sarà”.

In occasione del tuo esordio in B (vittoria 2-1 contro la Cavese) entrasti a fine primo tempo, al posto del compianto Giuliani, nel giorno della promozione del Como in Serie A; che sensazioni hai provato?

“Giuliano si infortunò alla fine del primo tempo e così ebbi la mia occasione. L’emozione è stata molta poiché fin da bambino sognavo di giocare in quello stadio. Un aneddoto curioso riguardò la mia macchina, che a seguito degli scontri del dopo partita, andò praticamente distrutta”.

Dopo una stagione a Pavia, vai a San Benedetto, dove incontri il maestro dei numeri uno Piero Persico. Che ricordi hai di quella annata?

“Una delle stagioni più importanti della mia carriera. Piero è stato una sorta di padre per me; ci salvammo a poche giornate dalla fine, ma il fatto stesso di essere stata la migliore difesa della categoria, racconta alla perfezione il nostro torneo”.

L’anno 1987-88 è a doppia faccia. La prima parte di campionato ti vede titolare, poi nel girone di ritorno vieni sopravanzato nelle gerarchie da Giuliano Terraneo. Cosa hai pensato in quel periodo?

“Devo chiedere scusa a Carletto Mazzone che ha creduto fortemente in me ed io, purtroppo, l’ho deluso. Ero anche partito bene: a Catanzaro parai tre rigori nella serie finale in Coppa Italia. A volte nella testa di un giocatore subentrano dei pensieri - magari a seguito di alcuni errori - che sono difficili da scacciare e a quel punto il mister optò giustamente per un cambio della guardia tra i pali”.

Finalmente nella stagione 1989-90 arriva la grande occasione quella, cioè, di vestire la gloriosa casacca del Genoa. Qui capita l’inverso della stagione a Lecce. Parti riserva di Gregori e poi a metà stagione lo sopravanzi. Tra l’altro il tuo esordio nella massima serie avviene nella partita più sentita per i genoani: il derby di andata. Raccontami qualcosa di quella gara?

“Intanto posso affermare di non aver mai perso un derby; tengo a precisare che in quell’occasione entrai già sul 2-1 per la Sampdoria. Riguardo quella annata, subentrai al posto di Attilio e riuscii a tenere il posto fino a fine stagione, grazie a buone performance”.

Nel 1990 arriva il tuo primo campionato in A da titolare assoluto. Il Genoa conquista un bellissimo quarto posto e tu sei uno dei protagonisti di quella cavalcata. Lo ritieni il torneo migliore della tua carriera?

“No, in realtà la stagione migliore della mia carriera è una che non viene quasi mai citata negli almanacchi: l’anno della Solbiatese, appena uscito da Como; quella è l’annata che mi ha formato di più a livello professionale”.

Eccoci finalmente alla partita per cui verrai per sempre ricordato: Liverpool- Genoa 1-2. Nel mio libro ho raccontato la tua partita minuto per minuto, quindi mi permetto di affermare che la conosco bene, però ora lascio la parola al tuo racconto….

“Come hai detto tu quella partita mi ha dato la gloria. Voglio precisare, come abbiamo detto all’inizio, che ho fatto molti altri incontri di un certo livello, ma non essendo in campo internazionale, probabilmente hanno avuto meno risalto. Tornando a quella sera io e i miei compagni genoani, non avremmo perso per niente al mondo”.

Da Anfield alla Serie C, dal Genoa al Perugia, perché?

“Verosimilmente perché ero e sono tutt’oggi un personaggio scomodo. Amo dire quello che penso, purtroppo nel mondo del calcio, ogni tanto sarebbe meglio adulare qualcuno….”

Due promozioni in quattro anni, tre volte premiato dai tifosi miglior calciatore perugino dell’anno, ma ciò non basta per guadagnarti la conferma in A, ci sei rimasto male?

“È legato a quello che ho detto poc'anzi, ma non ci rimasi male, considerando che avevo la coscienza pulita, per quello che ho dato alla squadra e ai tifosi in quegli anni”.

Dopo una parentesi a Lucca e un’annata a Milano sponda rossonera (da terzo portiere) chiudi la carriera tra i professionisti tornando dove tutto era partito: a Como. Sei soddisfatto di quello che hai dato al calcio?

“Assolutamente!”.

L’anno scorso è uscito il tuo libro: “La porta di un calcio pulito”, che ho letto e mi ha ricordato un calcio che oggi è quasi scomparso. Sei d’accordo?

“In questo caso potremmo scrivere un altro libro, i ragazzi di oggi non hanno più voglia di faticare e pensano che tutto gli è dovuto; se avessero un minimo d’umiltà molto probabilmente le squadre italiane farebbero un po’ meglio al di fuori dei nostri confini”.

Ultima domanda proprio sul calcio attuale: Genoa, Perugia e Como (le tue squadre) sono tutte quante in Serie B, cosa pensi possano fare nella stagione che sta per iniziare?

“Molte volte sono le sorprese che la fanno da padrone e magari proprio il Como potrebbe essere una di queste”.

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