Diego Fuser, dalla Fiorentina alla Lazio sempre di corsa

Diego Fuser, dalla Fiorentina alla Lazio sempre di corsa

Utilizzato come ala nei viola di Lazaroni, in biancoceleste venne spesso schierato come interno di centrocampo. In carriera ha vestito anche le maglie di Torino, Milan, Parma e Roma

Paolo Colantoni/Edipress

30.10.2023 ( Aggiornata il 30.10.2023 18:01 )

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Un anno alla Fiorentina, con la quale ha disputato la prima vera stagione da titolare togliendosi la soddisfazione di segnare otto gol in campionato, e sei stagioni alla Lazio, diventando il capitano della squadra e alzando al cielo la Coppa Italia, "dopo ventiquattro anni di distanza dall’ultimo trionfo della squadra biancoceleste. Un motivo di grande orgoglio". Diego Fuser è uno dei doppi ex più apprezzati di Lazio e Fiorentina. Due esperienze diverse, ma entrambe formative. “Due squadre che sono nel mio cuore. È chiaro che l’affetto che mi lega alla Lazio è diverso e più intenso. Ho passato sei anni a Roma, sono cresciuto come uomo e come calciatore; ho indossato la fascia di capitano ed ho vissuto gli anni della crescita della squadra, ma anche Firenze e la Fiorentina mi sono rimaste nel cuore. Ricordo quella stagione con grande affetto”.

 

A Firenze ha vissuto la prima stagione da titolare in serie A dopo gli esordi al Torino.

“Al Torino, nell’anno in cui i granata sono retrocessi, ho giocato titolare. Ero giovanissimo. Poi al Milan ho giocato con continuità: 20 presenze in campionato, tutte le finali tranne quella di Coppa dei Campioni, quindi con un pizzico d’orgoglio posso dire che il mio spazio me l’ero comunque trovato. Sono voluto andare a Firenze perchè sapevo che avrei giocato con maggiore regolarità. E così è stato”.

 

Una stagione a Firenze da titolare e otto gol...

“Di cui cinque su calcio di punizione”.

 

È stato in Toscana che ha capito che quella era una sua prerogativa?

“È stato grazie a Lazaroni e ad alcuni allenamenti speciali che facevamo a Firenze. Fu il tecnico brasiliano a spingermi a calciare le punizioni. Il sabato, terminata la seduta consueta, io e Landucci, il portiere della Fiorentina, ci allenavamo molto. Ed ha dato i suoi frutti”.

 

Che allenatore era Lazaroni?

“Io mi sono trovato benissimo con lui. Era un tecnico bravo e umile. Voleva sapere da me come ci allenavamo al Milan per provare a rubare qualche segreto. Il suo secondo era Amarildo. Ho un bellissimo ricordo di lui e dei suoi metodi”.

 

Il momento più bello della stagione a Firenze?

“C’è una partita rimasta nella storia: la vittoria contro la Juventus di Baggio, che in estate aveva lasciato i viola per andare a Torino. Segnai il gol decisivo su calcio di punizione, poi nella ripresa Mareggini, che sostituì Landucci, parò un rigore a De Agostini. Penalty che Baggio non se la sentì di calciare”.

 

L’estate del 1992 il passaggio alla Lazio.

“Quando mi chiamò la Lazio, non ci pensai due volte. Al Milan avevo vinto lo scudetto, ma volevo trovare una piazza dove giocare sempre da titolare. E in quel momento alla Lazio era appena arrivato il presidente Cragnotti che dava a tutti la sensazione di voler fare le cose in grande”.

 

E fu proprio così...

“Ogni anno la squadra cresceva, ogni stagione arrivava un campione in più da aggiungere alla rosa. Siamo cresciuti tanto e abbiamo gettato le basi per la squadra che poi avrebbe vinto lo scudetto”.

 

Se pensa a quei sei anni, qual è il suo primo pensiero?

“Sono stati sei anni bellissimi. Ho fatto tanti gol, ho alzato al cielo la Coppa Italia da capitano, una coppa che non si vinceva da quarant’anni in casa Lazio, ho avuto la fortuna di lavorare con tanti compagni che sono diventati amici. Ancora oggi ci sentiamo. Alla Lazio sono stato benissimo ed è stata una delle esperienze più importanti della mia carriera”.

 

A Roma è stato allenato da Zoff, Zeman ed Eriksson.

“Mi sono trovato benissimo con tutti e tre. Zoff mi ha fatto giocare titolare e poi l’ho ritrovato anche in Nazionale. Zeman è stato un innovatore, l’unico a vedere il calcio in un modo diverso da tutti gli altri. Mi sono dovuto adattare ad un gioco diverso, perché lui non concepiva il ruolo di ala destra di centrocampo. Mi sono trasformato in mezz’ala. Poi con Eriksson sono tornato a giocare sulla fascia destra. Da ala pura”.

 

Dove si è trovato meglio?

“Sono due ruoli diversi. Giocare sulla fascia destra ti porta a volte a isolarti, a muoverti in solitario e a vivere una partita nella partita. In mezzo al campo hai più possibilità di toccare i palloni e ti senti maggiormente nel vivo del gioco”.

 

Con la maglia biancoceleste ha affrontato diverse volte la Fiorentina. Quale gara ricorda con più attenzione?

“Ricordo un gol segnato a Firenze nel recupero, in una gara che vincemmo 2-0 e una partita che vincemmo a Roma 8-2. Una giornata incredibile dove andavamo tutti a 200 all’ora ed era impossibile fermarci”.

 

Con la Lazio ha segnato 42 gol in 242 partite.

“Forse i più belli li feci contro il Napoli, al termine della stagione 1996-97. Due gol bellissimi: uno con l’interno a giro, l’altro d’esterno. Due reti che ricordo benissimo ancora oggi”.

 

A Roma arrivò l’estate del 1992, in una Lazio in crescita, e andò via nel 1998, proprio mentre la squadra stava iniziando a diventare fortissima. E alla vigilia dello scudetto. C’è un po’ di rammarico?

“Sono arrivato nel momento in cui la squadra era in costruzione e l’ho lasciata mentre si apprestava a raccogliere i frutti del lavoro svolto. Sicuramente mi è dispiaciuto lasciare Roma e la Lazio proprio in quel momento, però fortunatamente sono caduto in piedi, trasferendomi al Parma. Ho lasciato una squadra fortissima e mi sono trasferito in un’altra che era altrettanto forte”.

 

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