Turone: "Liedholm a casa per convincermi a scegliere la Roma"

Turone: "Liedholm a casa per convincermi a scegliere la Roma"

L'ex difensore: "Era giugno, il tecnico mi disse se poteva passare da Genova
e mi chiese se fossi disposto a cambiare squadra. Risposi di sì"

Paolo Valenti/Edipress

10.05.2023 17:11

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Maurizio “Ramon” Turone vede il suo nome inesorabilmente legato al gol che gli venne annullato nello Juventus-Roma del 10 maggio 1981 che poteva decidere diversamente le sorti di quel campionato. La sua carriera, però, è ben più ampia di quel singolo episodio: ce la racconta in questa intervista, che decidiamo comunque di far partire proprio dal celeberrimo “gol de Turone”. 

Ramon, la tua popolarità è sempre attuale. Poco tempo fa è uscito anche un film su quel gol che era tuo ma che non risulta in nessun tabellino ufficiale. Dopo tutti questi anni, qual è il tuo rapporto con quell’episodio entrato nella storia del calcio italiano?

"In realtà io di questo non sono molto contento. Se ne parla ancora perché è stata una cosa clamorosa ma starne sempre a parlare non mi fa piacere. Però, effettivamente, è stato un furto, cavolo… non c’è niente da dire! Sarà una cosa che uscirà sempre, purtroppo è così, non c’è niente da fare. Non posso fermarla".  

Si parla sempre di te in relazione a quel gol. La gente dimentica, però, che hai avuto una bellissima carriera. Come cominciasti?

"Ho iniziato nel Genoa, una squadra con cui ho un rapporto incredibile, come se fosse mio fratello. Ci sono nato, lo continuo a tifare. Tifo anche per le squadre dove ho giocato, per l’amor di Dio, però qui ci sono cresciuto e quei colori lì ce li ho nel cuore. Quando uno nasce genoano purtroppo è un malato, perché tenere per il Genoa è dura: di soddisfazioni ne hai poche. La gente dice: 'come cavolo fai a tenere per il Genoa che non vince mai?'. Forse per quello…". 

Poi arrivò il Milan

"Pensa che io non ci volevo andare. Mi dissero che ero scemo a non volermi trasferire. Poi, alla fine, mi sono mosso anche se avrei voluto rimanere a Genova. Avevo una ventina d’anni, ero giovane…".

Al primo anno ti trovasti a giocare la contestatissima finale di Coppa delle Coppe contro il Leeds. Perché si sollevarono tutte quelle polemiche sulla conduzione arbitrale?

"In quella partita gli inglesi non la videro mai la palla, che diavolo dicevano? C’era un campo di quelli che per loro doveva essere ideale, pieno di fango, e non la toccarono mai. Ma quale arbitro…".

Al Milan cominciasti con Rocco e poi con Trapattoni come allenatori, fermi sostenitori delle difese con marcature a uomo e il libero. Chi fu il primo tecnico che ti fece giocare a zona?

"Io a Genova iniziai a giocare da libero con Tabanelli e al Milan arrivai per ricoprire quel ruolo. Poi ho fatto anche lo stopper, perché era difficile scalzare un mito come Schnellinger. Rocco, pur di farmi giocare, mi metteva anche mediano o terzino. Ho fatto tanti ruoli prima di riprendere il mio, quello di libero. Liedholm fu il primo allenatore a farmi giocare con la zona".  

Perché nel 1978 lasciasti il Milan per andare al Catanzaro?

"Ci fu qualcosa con la società ma preferisco non parlarne. Io a Milano sarei rimasto volentieri. Parlai con Mazzone: la squadra era buona, mi disse chi voleva prendere e alla fine sono andato. Facemmo un campionato incredibile arrivando noni, col mister mi trovai bene".

Cosa ti convinse ad accettare la Roma nel 1979?

"Liedholm mi telefonò una mattina di giugno chiedendomi se poteva venire a Varazze: ovviamente gli risposi di sì. Quando arrivò mi disse: 'Ci verresti con me alla Roma?'. 'Ci vengo di corsa, anche adesso se vuole' gli feci mentre pranzavamo". 

Lasciasti sia il Milan che la Roma nelle stagioni precedenti la vittoria di due storici scudetti. Qualche rammarico?

"Sono stato sfigato (ride, nda)! Certo, non sono nella storia con quei risultati però sono ugualmente contento: a Catanzaro e a Roma sono andato alla grande". 

A Roma, oltre a te, c’erano altri due genoani: Nela e Pruzzo. Cosa portaste di tipicamente rossoblù in quella squadra?

"Non dimenticarti che c’era anche Bruno Conti, che aveva fatto due anni col Genoa. Sicuramente abbiamo portato simpatia e casino! Non sai quanto… Diciamo che eravamo sicuramente i più scherzosi. Noi al campo di allenamento arrivavamo minimo tre quarti d’ora prima degli altri, per cui ci mettevamo negli spogliatoi ad aspettarli. Ogni volta che arrivava un compagno lo giudicavamo per come era vestito: ci facevamo un sacco di risate! Noi siamo andati bene e vincevamo anche per quello: eravamo un gruppo incredibile. Neanche a Milano ce n’era uno così. Anche perché a Milano eravamo più sparsi: chi a Varese, chi su, chi giù… Mentre a Roma la sera ci vedevamo quasi sempre".     

Perché non hai mai avuto un rapporto con la Nazionale?  

"Se ci fosse stato solo Valcareggi sarei stato chiamato, con Bearzot avevo fatto l’Under 21 ma poi non ci siamo molto presi: io la vedevo in un modo, lui in un altro e quindi la cosa non continuò. Aveva ragione lui, sicuramente: qualcosa ha fatto, io più niente. Comunque le Nazionali le ho fatte tutte, con l’Under 17 sono stato anche campione d’Europa nella rappresentativa in cui c’erano Zanier, il portiere della Spal, Fedele, Nevio Scala, Franzoni della Lazio, Carlo Petrini. E poi c’era Santarini, con cui costituivo la coppia centrale. Uno dei motivi per cui successivamente mi chiamò Liedholm: voleva ricostituire quel duo nella Roma. Il grande Sergio: lo saluto volentieri!".

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