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L'ex difensore ricorda i suoi anni nella Capitale. "Giocavo con dei grandissimi campioni. I tifosi mi sono rimasti dentro"
Era in campo tra i titolari di quel Roma-Wacker Innsbruck, gara di ritorno dei trentaduesimi di finale della Coppa Uefa 1992-93, Gigi Garzya, in maglia giallorossa dal ‘91 al ‘94.
"Ne ho giocate parecchie di queste partite, il risultato molto rotondo dell’andata non deve trarre in inganno: chiaramente eravamo superiori, ma gli austriaci erano una buona squadra, molto tignosa e lo dimostrarono nella gara di ritorno".
All’epoca venivi descritto come “uno che mordeva le caviglie”, ti rivedi in questa definizione?
"Sì, se con questa definizione si vuole intendere, oltre alla caratteristica di marcatore arcigno, anche il fatto che perseguivo sempre la massima soglia di concentrazione: siccome mi consideravo un giocatore “normale” che aveva la possibilità di condividere lo spogliatoio con straordinari campioni, allora per meritarmi questa possibilità dovevo sempre stare “sul pezzo”, dare il cento per cento, mai nulla di meno. Lasciami dire che questa caratteristica, indipendentemente dal livello tecnico dei giocatori che hanno vestito questa maglia, i tifosi della Roma l’hanno sempre apprezzata, hanno sempre saputo riconoscere e premiare quei giocatori che hanno versato fino all’ultima goccia di sudore".
Giannini, Aldair, Hssler: hai avuto la possibilità di giocare con grandi calciatori.
"Hai nominato tre fenomeni, tra i vari che ho avuto come compagni. Gente che fino a poco tempo prima avevo soltanto potuto ammirare attraverso la televisione. Già soltanto il fatto di potermi considerare loro compagno era un onore. Ti faccio un paio di esempi: Giannini bastava osservarlo attraverso la tv per capire che fosse un grande giocatore, ma soltanto giocandoci assieme mi sono potuto rendere conto della qualità di ogni sua giocata, della sua visione della manovra, della pulizia del suo tocco. Di Aldair, che era mio compagno di reparto, ti dico che era già uno dei più grandi difensori, ma oggi sarebbe il numero uno per distacco. Giocherebbe con la sigaretta in bocca: dava l’impressione di andare piano e arrivava prima; talmente bravo palla al piede che non ho mai capito se fosse destro o sinistro. Faceva giocare meglio chiunque gli stesse accanto. Difensori così forti non ce ne sono più stati, oggi c’è molta meno specificità del ruolo, molta più approssimazione nelle marcature. A questo proposito, fammi dire che i tre della Roma, a cominciare da Smalling, sono tra i pochi che mi ricordano i difensori “tosti” del passato: Mancini ha una grande carica e una grande attitudine al controllo, Ibanez un fisico straordinario".
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