Milan-Napoli, Savoldi: "Che ricordi a San Siro, emozioni uniche"

Milan-Napoli, Savoldi: "Che ricordi a San Siro, emozioni uniche"

L'ex centravanti azzurro decise la sfida ai rossoneri del 22 gennaio 1978, segnando su rigore ad Albertosi. Nell'intervista ripercorre anche i suoi anni passati all'ombra del Vesuvio

Simone Pieretti/Edipress

18.09.2022 11:58

  • Link copiato

Un sinistro che sapeva graffiare, e uno stacco di testa portentoso. Beppe Savoldi è stato un bomber di razza: ancora oggi fa parte della top 20 dei cannonieri della storia del calcio italiano. É partito da Bergamo e ha chiuso nell’Atalanta, passando due volte da Bologna e una da Napoli. Arrivato sotto al Vesuvio, tutti – lui in primis – immaginavano di poter vincere lo scudetto. "Vinicio mi chiese quasi scusa – afferma oggi Beppe Savoldi – era rammaricato perché nella stagione del mio arrivo, la squadra non riuscì ad esprimersi sui livelli del campionato precedente".

Il suo fu un trasferimento eclatante: 1 miliardo e 400 milioni di lire in contanti, più i cartellini di Rampanti e Clerici. Il totale fa due miliardi.  

"Il trasferimento fu più importante del contributo reso dal sottoscritto alla squadra. La trattativa la portò avanti Franco Janich, con cui ero stato compagno di squadra nel Bologna. Quando mi chiese la disponibilità a trasferirmi da loro, non esitai neanche un attimo: il Napoli nel campionato precedente era arrivato a due punti dallo scudetto. Era l’appuntamento con il grande calcio, ero convinto di poter vincere il titolo: purtroppo è andata in maniera diversa".

Il suo arrivo a Napoli fu movimentato.

"Arrivai da Bologna a Roma in aereo. Franco Janich mi ospitò a casa sua: dormimmo da lui, il giorno successivo prendemmo il treno per Mergellina con la speranza di sviare tutti. Ma al momento dell’arrivo in stazione, capimmo che il nostro piano era fallito; era tutto bloccato, fu una grande accoglienza!".

Ferlaino spese due miliardi per un calciatore in un momento nel quale il Paese era attanagliato da una crisi economica. Enzo Biagi fu uno dei pochi che difese il presidente: “Ferlaino non ha offeso la miseria, caso mai l’ha consolata”.

"Era proprio così. Non spettava a Ferlaino risolvere i problemi dell’Italia. Lui era un imprenditore. Cercava di portare lo scudetto al Napoli, come in realtà riuscì a fare qualche anno dopo. La cifra del mio trasferimento fu importante, ma lo stipendio non era rapportato a quella somma: il mio contratto non superava i settanta milioni".

Il Napoli provò a opporsi al potere di Torino e Milano. Erano anni in cui non era semplice confrontarsi con le squadre del Nord.

"Non era facile, ma in ogni città d’Italia avevamo dei sostenitori pronti a seguirci e a incoraggiarci. I tifosi del Napoli occupavano sempre un intero settore dello stadio, le altre squadre – al massimo – avevano uno spicchio di tifosi al seguito".

Il 22 gennaio 1978 lei regalò loro un’emozione speciale, quella di vincere a San Siro contro il Milan.

"Fu una vittoria che frenò le ambizioni del Milan, ma non riuscì a darci quello slancio per restare in scia della Juventus. Segnai su calcio di rigore. In porta c’era Albertosi, che insieme a Zoff in quegli anni era il miglior portiere in circolazione. Ricky aveva il vantaggio di giocare in una grande squadra, con difensori fortissimi: e questo lo rendeva ancor più imbattibile".

San Siro con settantamila spettatori. Non dev’essere un’emozione da poco.

"Le prime volte che giocavo lì, mi tremavano le gambe. San Siro è unico in Italia. In tutte le altre grandi città, lo stadio aveva la pista che toglieva qualcosa all’adrenalina. A San Siro le vibrazioni si sentivano in maniera intensa, era un concentrato di emozioni: qualcuno aveva persino paura di giocarci".

A proposito di paura, la marcatura a uomo non doveva essere piacevole. C’era un avversario che le incuteva più timore?

"No. Semplicemente perché le ho prese da tutti. Erano anni in cui dovevi salvare le gambe prima di pensare al gesto tecnico".

Il giorno del successo con il Milan a San Siro, sulla panchina del Napoli c’era Gianni Di Marzio.

"Quando Juliano lasciò il Napoli, Bruscolotti decise di lasciarmi la fascia di capitano. Pochi giorni dopo, Di Marzio mi invitò a cena a casa sua: a fine serata, scomparve quella barriera che solitamente c’era tra allenatore e giocatori. Alla fine… ci davamo del tu. Il mister per me era un amico: quando scendevo in campo cercavo di dare qualcosa in più anche per questo aspetto".

La partita di oggi avrà due grandi assenti: Leao da una parte, Osimhen dall’altra.  

"Sono due grandi attaccanti: Leao è un giocatore fatto, Osimhen deve diventare un po’ più scaltro, ma diventerà un grandissimo centravanti. Le loro qualità li rendono complementari: potrebbero giocare nella stessa squadra, e sarebbero una coppia d’attacco meravigliosa".

Condividi

  • Link copiato

Commenti