I 60 anni di Beniamino Abate: "Il Milan è casa mia"

I 60 anni di Beniamino Abate: "Il Milan è casa mia"

Da enfant prodige nell’Udinese a vice di Zenga (“Abbiamo fin da subito instaurato un bellissimo rapporto, uscivamo anche con le famiglie”) fino alle vittorie da preparatore dei portieri con i rossoneri

Massimiliano Lucchetti/Edipress

10.04.2022 ( Aggiornata il 10.04.2022 07:57 )

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Nato a San Martino Valle Caudina il 10 aprile 1962, Beniamino Abate cresce ammirando le gesta di Enrico Albertosi. Dopo una toccata e fuga nella primavera del Napoli, sarà l’Udinese a concedergli la grande chance di esordire in Serie A. Poi qualche anno come secondo all’Inter, prima di chiudere la carriera fra Cagliari e Reggiana. Attualmente allena le giovani promesse del Milan, dopo aver toccato il cielo con un dito nella notte di Atene del 2007, quando il Milan vinse la sua settima Champions League e lui era preparatore dei portieri.                   

Classica prima domanda. Cosa ti ha spinto a cimentarti nel ruolo?

“Fin da piccolo amavo tuffarmi dovunque, quindi credo di averlo avuto nel sangue; ammirando successivamente le gesta in tv del mio idolo Enrico Albertosi non ho avuto più dubbi, su quale fosse la mia vocazione”.

Dopo gli inizi a Benevento passi al Napoli. Speravi di continuare la carriera in maglia azzurra?

“Da campano ovviamente vestire la maglia del Napoli era il massimo a cui si poteva ambire. Io mi allenavo con la prima squadra, ma ho giocato tutto l’anno con la Primavera, non facendomi troppe illusioni per quello che sarebbe stato il futuro”.

L’esplosione definitiva avvenne a Udine, devi ringraziare qualcuno in particolare?

“Devo ringraziare tutto l’ambiente bianconero, era l’ideale per diventare ‘grande’. Se devo fare un nome, però, faccio quello di mister De Sisti che mi ha fatto esordire”. 

A proposito dell’esordio in casa della Juventus, cosa ricordi?

“La mattina il mister mi chiama e mi chiede se me la sentissi di giocare; la mia risposta - me la ricordo come fosse ieri – fu che era da una vita che aspettavo questo momento. Non ti nego che un po’ di tensione c’era nel dover giocare contro Platini, Laudrup, Scirea, ma appena l’arbitro ha fischiato mi sono concentrato solo sul mio lavoro. Tolsi il posto a un ottimo portiere come Fabio Brini”.

Come mai, secondo te, la società decise di prendere Claudio Garella nel 1988 e non puntare definitivamente su di te?

“Garella era un numero uno importante in quel periodo, veniva da due scudetti in pochi anni, probabilmente la società non si voleva far scappare un’occasione del genere. All’inizio volevo andare via per giocare ma poi - legato anche da un contratto pluriennale – sono rimasto e ho imparato molto da Claudio, nonostante il suo modo poco ortodosso di parare, sempre però molto efficace”.

Che ricordi hai dell’annata a Messina? Un inizio favoloso, secondo posto a fine girone d’andata e un crollo. Come te lo spieghi?

“Eravamo un gruppo bellissimo, comandato dall’allenatore Materazzi. Penso che la squadra e anche il mister abbiano risentito della vendita della società ai figli da parte del presidente Massimino – vero collante del gruppo; a essere onesto credo anche che la rosa non fosse attrezzata per competere fino in fondo per vincere un campionato difficile come la Serie B”.

Quando ti ha chiamato l’Inter, cosa hai pensato?

“‘Vado in paradiso!’. Queste sono state le mie prime parole, non ci pensai nemmeno un secondo e probabilmente fui ripagato dei tanti sforzi fatti negli anni precedenti”.

Ad Andria il tuo secondo era Andrea Pierobon. Te lo saresti aspettato che avrebbe giocato per altri 20 anni?

“In quel momento ovviamente no. Anche se si intravedevano in lui tutte le qualità per avere una carriera duratura”.

Nel primo anno a Cagliari hai condiviso la porta invece con Valerio Fiori. Poi vi siete ritrovati preparatori dei portieri al Milan anni dopo. Si è creato un rapporto d’amicizia?

“In realtà quando io facevo il preparatore, lui era il terzo portiere. Poi abbiamo condiviso insieme nella famiglia milanista questa esperienza. Eravamo amici già ai tempi di Cagliari, quindi il nostro rapporto si è solo andato a rafforzare”.

Hai chiamato famiglia il Milan, provi qualcosa di profondo per questa società?

“Ho avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro dell’epoca del Milan di Berlusconi, Galliani e Braida, tre persone che ringrazierò per sempre. Insieme a William Vecchi e Nelson Dida abbiamo vinto tutto in Italia e in Europa”.

Domanda al volo su Dida, che portiere è stato? Mi spiego meglio. Oggi a distanza di anni lo si può considerare uno dei più forti di sempre, oppure come tanti ha avuto un picco altissimo e basta?

“Io posso solo che parlare bene di Nelson. Un professionista esemplare, era il primo ad arrivare al campo e l’ultimo ad andare via. Sicuramente dopo qualche stagione a livelli altissimi, ha avuto un periodo un po’ buio, ma poi si è ripreso e ha dimostrato di essere un grandissimo estremo difensore”.

Torniamo alla tua di carriera. La chiudi nella Reggiana, società che tutti noi vorremo rivedere in Serie A, come a inizio anni ’90. Sei d’accordo?

“Ci tengo a fare un saluto a tutti i tifosi della Reggiana e ad augurargli un pronto ritorno prima in Serie B e poi naturalmente in A”.

Torno un secondo a Fabio Brini, che recentemente mi ha confidato che, secondo lui, tu eri uno dei giovani più promettenti nel ruolo alla fine degli anni ’80. Ti sei mai chiesto come mai non hai sfondato definitivamente?

Ti dico la verità, io a Udine il primo anno ho avuto come allenatore dei portieri Alberto Ginulfi, in seguito è andato via e fino a Castellini all’Inter e Adriano Bardin a Cagliari non ne ho più avuti. Mi chiedo sempre cosa sarebbe stata la mia carriera se dopo Ginulfi avessi avuto più continuità nel godere del supporto di un preparatore specifico per il nostro ruolo. Ti faccio anche una confidenza: la metodologia del mio lavoro come preparatore è basata sugli allenamenti che mi faceva fare Bardin a Cagliari”.

Ultima domanda. I tre portieri più forti che ha visto giocare?

“Walter Zenga, Gigi Buffon e Luca Marchegiani… scrivi anche che con Luca condividiamo un piccolo record, siamo stati gli unici portieri espulsi nella stessa partita (Inter-Torino 1992)”.

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