Roma-Vitesse, Marco De Marchi: "La Sud e l'Olanda, quanta passione"

Roma-Vitesse, Marco De Marchi: "La Sud e l'Olanda, quanta passione"

Il doppio ex ha vissuto una stagione nella Capitale e tre ad Arnhem, è stato il primo italiano a trasferirsi dalla Serie A nel campionato olandese

Valeria Biotti/Edipress

17.03.2022 ( Aggiornata il 17.03.2022 12:42 )

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Marco De Marchi è l’unico doppio ex della sfida di Conference League tra Roma e Vitesse. Una carriera caratterizzata da scelte di cuore, la sua, una disponibilità infinita e il retrogusto amaro di qualche tormento.

De Marchi, lei è stato a Roma una sola stagione, 1991-92, eppure parla di questa piazza con enorme affetto.

"È stata una delle annate più intense della mia carriera. Chi la vive da esterno, da “straniero”, non può capire cosa significhi vestire questa maglia né il motore impressionante che può essere la Curva Sud. Per potenza non è seconda a nessuno. Ancora oggi, quando suona l’inno, ho i brividi".

È stata una stagione complessa, però.

"Innanzitutto venivo dalla Juventus. E già quello è un marchio difficile da togliersi di dosso. Poi devo dire che non è stata l’annata in cui ho giocato meglio. Ero riuscito ad avere continuità di rendimento fino alla gara contro la Sampdoria. Ero in un momento di lucidità e orgoglio. Dopodiché andammo a Torino per la partita più importante: quella contro la Juventus".

Ecco, lì avvenne un episodio che più di un romanista ricorda.

"Per me, in prestito proprio dalla Juventus, era come giocare una finale di Coppa del mondo. Volevo fare bene. Purtroppo, invece, quella partita finì 2-1 per i bianconeri a causa di uno sfortunatissimo autogol che mi capitò a circa due minuti dalla fine. Ricordo perfettamente come mi sentii. Ho tutto chiaro. Finii dentro la porta. Ho ancora la foto di me con i tifosi giallorossi alla mia destra. Chiusi gli occhi, appoggiandomi alla rete, e pensai “adesso li riapro e sarà un incubo”. Perché è impossibile che possa capitare davvero una cosa del genere. E invece era tutto vero, purtroppo. Fosse successo a inizio partita, avrei avuto magari la possibilità di rimediare, di rifarmi. Ma nel finale… Fu proprio tutto sfortunatissimo. Giovanni Cervone deviò un cross avversario molto veloce; io ero dietro a protezione dell’arrivo di Schillaci e la palla mi sbatté sullo stinco. Ma vallo a spiegare. In prestito dalla Juve… con la Roma… a Torino… il peggiore incubo. Cosa può capitare di peggio? Era il 1991-92. Sono trent’anni che ci penso". 

Quella era la Roma del presidente Ciarrapico. Che ricordo ha della società?

"Era una Roma organizzatissima. Ricordo che andavamo a Ciampino e ci muovevamo con tre aerei privati. E poi ricordo le persone. Straordinari tutti: i magazzinieri, il fisioterapista Giorgio Cardoni e il mitico Giorgio Rossi, indimenticabile".

Perdoni la curiosità: ma lei, al Vitesse a fine anni ’90, come c’è finito?

"Dopo anni importanti a Bologna, avevo fatto Juve-Roma-Juve. Avevo vinto una Coppa Uefa, giocandola, ma sentivo di avere un debito di riconoscenza nei confronti del Bologna. Era un periodo duro, per la squadra del presidente Gazzoni, in quel momento in Serie C. In tre anni tornammo in A, ma poi non si trovò l’accordo per continuare il rapporto. Fu una delusione enorme. Quando il mio agente mi disse che il presidente del Vitesse voleva incontrarmi, andai. Mi parlò di un progetto ambizioso e aggiunse: “Sai, saresti il primo giocatore italiano di Serie A della storia a venire a giocare qui nella massima serie olandese”. Questa cosa mi piacque tantissimo. E, senza neanche discutere i termini del contratto, accettai. Io ero così".

Com’è stato per un difensore della Serie A andare a giocare in un contesto così diverso filosoficamente, come quello olandese?

"Un delirio. Venivo da tre anni con Ulivieri, che ritengo essere stato uno dei miei più grandi insegnanti di calcio. Andare a giocare in un Paese in cui è meglio vincere 5-4 che 1-0… beh, diciamo che brucia. Ma gli olandesi hanno visto subito un giocatore passionale sia in campo sia nel voler imparare tutto ciò che era diverso. Quando si entrava in campo, il primo coro era per me. Mi hanno fatto sentire fin da subito uno di loro: è stato anche lì un amore viscerale".

Il progetto ambizioso del Vitesse prevedeva anche la costruzione dello stadio GelreDome, in cui si è giocata la gara d’andata con la Roma. Un campo in pessime condizioni, però.

"In realtà, nel 1998, quando è stato costruito, era una struttura avveniristica, con il tetto che si chiudeva e il campo scorrevole a cassetto, per permettergli di respirare. Negli ultimi dieci giorni ci hanno giocato quattro partite. Ecco il motivo del disastro. Di solito è molto molto bello".

Lei crede che le condizioni del campo abbiano penalizzato solo la squadra più tecnica o dobbiamo aspettarci sorprese dal Vitesse?

"Anche il Vitesse è una squadra tecnica. Certo, i valori delle due sono differenti: la Roma, se fa la Roma, ha qualcosa in più; ma non bisogna sottovalutare il Vitesse. All’andata sono rimasto sorpreso dagli olandesi. Non mi aspettavo un atteggiamento così garibaldino, desideroso di assumersi così tanti rischi. È vero che è l’atteggiamento tipicamente olandese, ma da qualche anno lo staff tecnico è tedesco; per cui oggi il Vitesse mette in atto anche quegli accorgimenti pratici che vengono dalla mentalità tedesca. Al ritorno mi aspetto una gara più o meno con la stessa inerzia, da parte della squadra ospite. Con i gol in trasferta che non valgono più doppio, non ha altra chance se non provare a vincere. Sarà una bella partita, che guarderò da neutrale".

Ora lavora nel mondo del calcio come agente e come intermediario. C’è un giocatore nella rosa del Vitesse che le piace particolarmente? E nella Roma?

"Nel Vitesse mi colpiscono due calciatori in maniera particolare. Uno è il capitano, Doekhi, che è un ’98 ed è in scadenza di contratto, quindi credo avrà mercato. E poi c’è un 2002, giovane, che secondo me è un interessante centrocampista di struttura, tecnico: si chiama Huisman. Nella Roma mi ha stupito Abraham, perché non è facile già dal primo anno avere questo impatto così importante. Oltre, ovviamente, al “solito” Pellegrini e a Zaniolo, che spero possa trovare una continuità di prestazione per mostrare tutto il suo talento".

 

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