Milan-Lazio, Albertini: "Quella Coppa Italia vinta in biancoceleste"

Milan-Lazio, Albertini: "Quella Coppa Italia vinta in biancoceleste"

Doppio ex della sfida, dopo una vita in rossonero dove vinse tutto, dovette trasferirsi nella Capitale per alzare al cielo l'unico trofeo mancante in bacheca

Paolo Colantoni/Edipress

09.02.2022 12:12

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Una carriera eccezionale, fatta di trofei, gare internazionali e premi di ogni tipo. Demetrio Albertini è stato il prototipo del centrocampista completo. L’esatta simbiosi tra un palleggiatore e un incursore; tra un regista e un mediano, in grado di iniziare l’azione, proteggere la difesa e spesso arrivare alla conclusione. Si è affermato al Milan, squadra nella quale ha esordito e con cui ha vinto tutto. Ha giocato nell’Atletico Madrid, negli anni in cui non era usuale trasferirsi all’estero e si è tolto la soddisfazione di disputare una stagione nella Lazio, concludendo l’anno con un trofeo: una vittoria in Coppa Italia, arrivata a maggio del 2004. L’unica competizione che mancava nella sua strepitosa carriera. Sei anni prima, con la maglia del Milan contese lo stesso trofeo ai biancocelesti, trascinando il centrocampo rossonero e segnando una rete (nella finale di ritorno) che sembrava destinata a scrivere un finale, poi clamorosamente stravolto dagli eventi. "Quella finale di Coppa Italia fu incredibile. Noi eravamo a fine ciclo, mentre la Lazio si stava lanciando. Segnai dopo pochi minuti della ripresa e la gara sembrava segnata, ma poi la Lazio riuscì a ribaltare il risultato. Per me sembrava quasi una maledizione, visto che nella mia carriera mi mancava solo la Coppa Italia come trofeo. Ma poi arrivò proprio alla Lazio, qualche anno dopo".

Cinque scudetti, tre Champions League, due Coppe Intercontinentali, due Supercoppe Europee e tre Supercoppe italiane. Cosa rappresenta il Milan per Demetrio Albertini?

“Con il Milan è stata un’esperienza straordinaria. I rossoneri sono la mia famiglia, la mia seconda casa. Pensavo di rimanere fino al termine della mia carriera lì, ma non ci sono riuscito. Diciamo che l’addio poteva essere gestito meglio, anche a livello comunicativo, ma poi alla fine si sono sistemate le cose e ancora oggi rappresenta per me un club unico. Il Milan mi ha lanciato nel grande calcio, mi ha fatto crescere e mi ha fatto vincere tutto”.

Tranne la Coppa Italia.

“La finale con la Lazio del 1998 fu una cosa incredibile. Vincemmo la gara d’andata, segnai al ritorno ed eravamo tutti convinti di poter portare a casa il trofeo. Ma il calcio è così. La sua bellezza sta in partite e rimonte come quella. Se ripenso a quella partita con occhi neutrali ti dico che è stato uno spot per il calcio. Da milanista ho sofferto tanto per il modo in cui andarono le cose”.

La rivincita arrivò sei anni dopo.?

“Una volta lasciato il Milan passai all’Atletico Madrid, poi arrivò la chiamata della Lazio di Roberto Mancini. Fu un anno strano. In campo vincemmo la Coppa Italia e lottammo per il vertice. Fuori dal campo accadde di tutto, tra rischio fallimento, stipendi non pagati e altri problemi”.

Come siete riusciti a raggiungere quei risultati in quella situazione??

“Fu fondamentale Roberto Mancini. Al di là dell’aspetto tattico, fece un grandissimo lavoro come collante. Forse con un tecnico con meno personalità le cose non sarebbero andate così. Ricordo che dentro lo spogliatoio si parlava solo di queste cose. C’era il presidente Longo che ci rassicurava, ricordo che ci venne chiesto di firmare il piano Baraldi. Ma le difficoltà erano enormi. Nessuno sapeva come sarebbe andata a finire”.

Ma quella Lazio arrivò a un passo dalla qualificazione in Champions League e a vincere la Coppa Italia.

“La squadra era composta da giocatori di grande valore. Peccato che poi si sfaldò tutto. Ma basta vedere che carriera hanno fatto tutti i componenti di quella formazione: Mancini andò all’Inter, Stam al Milan, Fiore al Valencia e Giannichedda alla Juve. Era un gruppo fortissimo”.

Che vinse la Coppa Italia con la Juventus in finale.

“Prima ci fu la doppia semifinale con il Milan, una gara speciale per me. Ricordo che presi anche un palo. In finale con la Juventus fu bellissimo. Mi mancava vincere la Coppa Italia e ci sono riuscito con la Lazio”.

Cosa ricorda dei festeggiamenti??

“Io portai dei sigari, che al termine della partita regalai ad ogni mio compagno di squadra. In carriera ho sempre festeggiato così le vittorie. L’ho fatto al Milan, al Barcellona e anche alla Lazio. Negli spogliatoi di Torino tutti festeggiammo con un bel sigaro”.

Quello fu l’ultimo ricordo della Lazio?

“In realtà ne ho un altro. Come dicevo, al termine della stagione la squadra fu smantellata. Prima ancora dell’arrivo di Lotito mi presentai a Formello per gli allenamenti ed eravamo rimasti in cinque, più Mimmo Caso, che ci faceva da allenatore. In quel momento non avevamo idea di come potessero andare le cose. Mi arrivò l’offerta dell’Atalanta e accettai. Tornavo a casa”.

Una sola stagione alla Lazio, ma indimenticabile.?

“Ricordo il primo allenamento con Mancini e con tanti campioni. Le prime due partite in cui feci due gol: uno al Lecce e uno alla Sampdoria, su calcio di rigore”.

Battuto alla Beppe Signori, senza rincorsa.?

“In realtà è lui che ha copiato me. Ha visto come li battevo nel ritiro della Nazionale e ha iniziato a batterli anche lui così”.

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