Atalanta-Roma, l'intervista al doppio ex Sandro Tovalieri

Atalanta-Roma, l'intervista al doppio ex Sandro Tovalieri

Il "Cobra" ha vinto una Coppa Italia da protagonista con i giallorossi: "è un trofeo che ha sempre regalato tante gioie ma sono un po’ campione d’Italia anche io, ecco perché..."

Francesco Balzani/Edipress

18.12.2021 11:53

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Dici "Cobra” negli anni ’80-’90 e pensi a due cose: il film con Stallone e le zampate in campo di Sandro Tovalieri. Romano di Pomezia quasi campione d’Italia a 20 anni e poi bomber per tutte le piazze e tutte le stagioni tra Cagliari, Bari, Perugia, Ancona e ovviamente Atalanta. Perché proprio a Bergamo l’attaccante sfiora il secondo grande titolo della sua carriera perdendo in finale di Coppa Italia con la Fiorentina. E sempre in quello stadio Tovalieri fa il suo esordio in Serie A l’8 settembre 1985 con la maglia della Roma. Tra una sigaretta e qualche rimpianto, il Cobra ci racconta la sua carriera che è proseguita poi anche in panchina nelle giovanili giallorosse, dove avrà modo di crescere giocatori come Pellegrini, Verre e Caprari.

Nel 1986 Tovalieri ha 20 anni e sfiora uno scudetto con la Roma, nel 1996 ne ha 30 e sfiora una Coppa Italia storica con l’Atalanta. Oggi ne ha più di 55 e avendo la bacchetta magica quale partita rigiocherebbe tra Roma-Lecce e Fiorentina-Atalanta?

"Non ho dubbi. Quella con il Lecce è stato il più grande rimpianto della mia carriera, avevamo fatto una rimonta incredibile sulla Juve e lo scudetto sembrava solo una normalità. Siamo caduti sul più bello. Era il mio primo anno in Serie A e avevo segnato il mio primo gol al Napoli di Maradona in uno stadio da 80mila tifosi, immaginate cosa sarebbe stato vincere uno scudetto anche per la mia carriera. Sarei rimasto nella storia e forse sarei rimasto a vita alla Roma".

Però ha modo di vincere una Coppa Italia da protagonista.

"Ho segnato un gol pesante nella finale di andata con la Samp visto che poi al ritorno proprio quella rete segnata fuori casa si rivelerà decisiva. Ma anche nei quarti e in semifinale avevo timbrato con Inter e Fiorentina. La Coppa Italia è sempre stato un trofeo in grado di regalare gioie alla Roma. Da qualche anno come trofeo viene un po’ snobbato, è un peccato perché alleggeriva l’anima anche in stagioni come quella".

Torniamo indietro, a 11 anni entra nella Roma. Vive lo scudetto da ragazzo delle giovanili, poi si ritrova a giocare con Conti e Pruzzo. Più felicità o paura?

"Se vuoi diventare un calciatore vero non puoi mai avere paura perché ti porta a commettere errori. Era un orgoglio giocare con quei campioni. In realtà poi io ero in panchina in Roma-Genoa nell’anno dello scudetto, quindi un po’ campione lo sono anche io. Se Liedholm m’avesse fatto entrare avrei esordito a 17 anni e oggi potevo vantarmi con un certo Francesco Totti. Al “Barone” poi lo dissi: almeno un minuto potevo farlo visto che vincevamo!". 

C’è il rimpianto di essere rimasto una sola stagione? In fondo non era andata male…

"Tornando indietro cambierei decisione. A 20 anni però ragioni in un altro modo, avevo davanti Pruzzo e Graziani e la voglia di giocare. Il mio obiettivo era fare esperienza altrove e poi tornare, ma non si può programmare una carriera. La mia è stata comunque densa di soddisfazioni, in tutte le città mi sono fatto voler bene perché davo tutto".

Per questo la chiamavano “Cobra”?

"Nella Roma mi chiamavano “il Moro di Pomezia”, poi a Bari i miei compagni di squadra si inventarono questo soprannome un giorno in cui abbiamo dato i soprannomi con animali a tutti. In pratica ha cancellato il mio nome di battesimo. Che tridente con Protti e Ventola, oggi rischierebbe di arrivare in Champions".

Arriva all’Atalanta nel periodo della piena maturità che coincide anche con l’esplosione di Vieri…

"Che era già scemo allora. Scherzo, lo dico nel senso buono del termine. Bobo era giovane come me nella prima Roma. Io in quell’Atalanta ho giocato spesso esterno, che non era proprio il mio ruolo. Poi si fa male Bobo, torno centrale e segno 6 gol in 7 partite. Siamo arrivati in finale di Coppa Italia, mentre in campionato andò meno bene".

Che differenza c’è tra giocare a Bergamo e a Roma?

"Quella di Bergamo è una piazza che non pretende di vincere, e quindi diciamo che giochi più tranquillo di testa rispetto a Roma, dove ci si aspetta sempre qualcosa in più, com’è giusto che sia. Ai miei tempi ovviamente non c’era paragone, oggi qualcosa è cambiato…".

È partito da Eriksson ed è arrivato a Mazzone, passando per Mondonico a Bergamo. Ce li descrive?

"Lo svedese mi ha trattato come un figlio, mi ha insegnato davvero tanto tanto a 20 anni. Al Cagliari di Mazzone sono arrivato nel pieno della mia maturità e di lui si parla poco per la preparazione che aveva. Conosceva gli avversari a memoria, fenomenale. A Mondonico mando un grande abbraccio lassù, con lui ho avuto qualche disguido tattico ma era un grande allenatore".

Si ricorda in modo più vivido il primo gol in carriera contro il Napoli o l’ultimo pesante rigore che manda il Perugia in A?

"Quelli iniziali sono belli e spensierati, gli ultimi sono un po’ drammatici perché cominci a pensare che tra poche domeniche non li segnerai più. Quindi mi prendo il primo come ricordo felice. In quel momento sai che ne segnerai tanti altri".

Tanti compagni d’attacco, quale il migliore?

"Ho giocato con tanti campioni ma il feeling che ho avuto con Igor Protti è impareggiabile. Vivevamo nello stesso quartiere, ci frequentavamo con le famiglie. E in campo dividevamo le gioie al 50%, e poi mi creava tanto spazio in area di rigore".

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