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Cresciuto calcisticamente nella Capitale, debuttò in Serie A esattamente 27 anni fa contro il Padova. A Torino sponda bianconera si è poi formato come calciatore e come uomo
Nascere nel settore giovanile biancoceleste. Portare a casa due scudetti, esordire in prima squadra e poi maturare, crescere e diventare grande altrove. Marco Di Vaio è stato protagonista di una storia incredibile. Dopo aver bruciato le tappe e aver esordito giovanissimo con la Lazio, ha lasciato la Capitale, per costruire i suoi successi altrove. «Ma la Lazio resterà sempre nel mio cuore. I biancocelesti e la Juventus rappresentano due delle squadre che hanno caratterizzato la mia carriera. A Roma sono nato, cresciuto e ho passato dieci anni meravigliosi. La Lazio era casa mia e mi ha permesso di conoscere persone fantastiche che fanno ancora parte della mia vita. La Juve mi ha formato come professionista, facendomi fare gli step necessari per dare una svolta alla mia carriera».
Per un ragazzo nato a Roma e tifoso biancoceleste, cosa vuol dire esordire in prima squadra?
«È stato il coronamento di un sogno. Sono cresciuto in una famiglia laziale. Mio padre mi portava allo stadio ed eravamo tutti legatissimi a quei colori. Già giocare nelle giovanili biancocelesti era una forma di vanto per tutta la famiglia. Poi esordire in prima squadra è stato il massimo».
Cosa ricorda degli esordi nel settore giovanile?
«Avevamo formato un gran bel gruppo e ancora oggi ci sentiamo. Abbiamo una chat nella quale parliamo spesso. Ci siamo formati come ragazzi e calciatori e abbiamo vinto: ben due scudetti. Uno con i Giovanissimi Nazionali e uno con la Primavera, più un’altra finale sempre con la Primavera di Mimmo Caso. Ricordi bellissimi».
L’esordio in prima squadra arriva a settembre del 1993, con Dino Zoff in panchina.
«In Coppa Uefa a Plovdiv, in Bulgaria. Un ambiente particolare. Faceva freddo, tanto. Poi arrivò anche l’esordio in Coppa Italia. Mentre per giocare la prima in campionato ho dovuto attendere un po’ di più: circa un anno».
20 novembre 1994: Lazio-Padova.
«Entro in campo e segno dopo pochi minuti. Una gioia incredibile. Tutto grazie a Zeman, che mi ha lanciato».
Si dice che il boemo sia uno dei tecnici migliori per lanciare i giovani. È vero?
«Alla Lazio sono stato fortunato. Negli ultimi tre anni, tra Primavera e prima squadra, ho lavorato con Mimmo Caso e Zeman, che mi hanno aiutato tantissimo. Caso mi ha aperto a un mondo diverso, portandomi a ragionare non più da giocatore delle giovanili, ma da semiprofessionista. Zeman mi ha fatto crescere sia dal punto di vista fisico che mentale».
Il suo momento più bello alla Lazio?
«L’esordio con il gol in prima squadra e la vittoria dello scudetto Primavera. Giocammo all’Olimpico la finale contro il Perugia davanti a 40.000 persone. E venivamo da un anno difficile contrassegnato dalla malattia di Mimmo Caso. Volevamo fargli un regalo e ci siamo riusciti. E poi un gol al Trabzonspor in Coppa Uefa, pochi giorni dopo l’esordio in A. Un gol bello e importante».
Perché Marco Di Vaio lasciò la Lazio?
«Dopo il primo campionato con i grandi iniziammo la nuova stagione, ma a dicembre eravamo già fuori dalle Coppe e lo spazio era poco. In squadra c’erano attaccanti fortissimi: Signori, Boksic, Casiraghi, Rambaudi. Per me, a 18 anni, giocare sarebbe stato difficilissimo. Zeman non voleva mandarmi via, ma io ero convinto che mi avrebbe fatto bene andare a giocare con un po’ più di regolarità. Così nel mercato di novembre accettai di andare in prestito. Lasciai la Lazio convinto che a distanza di sette mesi sarei tornato ancora più forte. Purtroppo non andò così».
È rammaricato per questa scelta?
«Assolutamente sì. Anche perché a distanza di pochi anni la Lazio divenne la squadra più forte d’Europa, con i tanti investimenti di Cragnotti».
C’è mai stata la possibilità di tornare a Roma?
«Una volta ci andai molto vicino. Con Lotito e Sabatini. Ne ho parlato con lui anche a Bologna. Ero reduce dall’esperienza al Valencia e la Lazio si era interessata a me. Purtroppo avevo uno stipendio incompatibile con il monte ingaggi della società in quegli anni e non se ne fece nulla. Peccato».
La prima volta da avversario allo Stadio Olimpico?
«Indimenticabile. Giocavo con la Salernitana. Ricordo l’Olimpico pieno, un’emozione strana. E poi mi marcava Nesta. Al di là del fatto che non mi fece toccare palla, fu davvero strana la situazione. Diciamo che ogni volta che ho affrontato la Lazio allo stadio Olimpico non sono mai riuscito a superare l’emozione e fare bene. Non ho mai segnato alla Lazio a Roma. Ci sono riuscito in altri stadi».
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