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Giovane emergente nella Fiorentina degli anni Settanta, fu vittima di un incidente stradale che ne interruppe la carriera da calciatore e lo spinse a proseguire come tecnico
Certe vite sfumano, veloci come le canzoni. Lo diceva Ligabue, ormai qualche tempo fa. E come una sola canzone, di quelle che duravano poco più di tre minuti e venivano lanciate con un 45 giri, durò la carriera calcistica di Vincenzo Guerini, centrocampista classe 1953 nato nello stesso giorno di Diego Armando Maradona: un 30 ottobre che sembrava un segno del destino. Come anche la sua rapida ascesa ai vertici del calcio italiano dei primi anni Settanta iniziata con il Brescia, squadra della sua zona geografica di provenienza: due campionati di Serie B e una trentina di partite sono sufficienti per convincere la Fiorentina ad acquistarlo.
È l’estate del 1973 e i viola, guidati da Gigi Radice, affrontano la stagione con la meglio gioventù del campionato: Roggi, Antognoni, Caso, Desolati e Guerini sembrano più che semplici promesse. Vincenzo fa panchina nelle prime giornate. Poi, il 18 novembre 1973, arriva l’esordio in Serie A nella sfida contro il Napoli: tanta corsa, tanti palloni recuperati e una tecnica di base che per un mediano non è affatto male. La prestazione è così convincente che spinge Radice a promuovere titolare quel ragazzo che non ha mostrato timori. I giornali cominciano a ricamare: lo vedono come il nuovo Bertini, come alternativa a Benetti. L’allenatore ai paragoni non ci bada: Guerini deve giocare perché è forte, tanto che in qualche partita lascia fuori De Sisti e schiera Antognoni all’ala pur di trovargli spazio, quello che lui riempie della solida sostanza di recuperi e coperture verniciate di buona qualità che vanno oltre il compitino. Nella finale di Coppa Italia del 1975 è suo il gol del momentaneo 2-1 che contribuisce alla vittoria finale (3-2) maturata contro il Milan. Mentre nel settembre dello stesso anno è ancora lui, nella finale di andata della Coppa di Lega Italo-Inglese, a realizzare la rete della vittoria contro il West Ham, che verrà replicata al ritorno grazie a Speggiorin.
Il futuro sembra fatto di promesse radiose, terra da conquistare correndo e sgomitando. Lo dimostra il fatto che anche la Nazionale si accorge di lui: Bernardini lo apprezza e così arrivano le convocazioni nelle varie rappresentative. Per paradosso arriva prima l’esordio nella Nazionale maggiore (Italia-Bulgaria 0-0, 29 dicembre 1974) che quello con l’Under 23 (Finlandia-Italia 2-3, 28 settembre 1975). Ed è proprio una partita mancata con l’Under 23 che va a cambiargli la vita. Era il 24 novembre 1975, la neve era caduta su Ascoli e il match degli azzurrini era stato annullato per via delle condizioni atmosferiche. Guerini scalpita e, insieme al compagno di club Domenico Caso, prende la sua Porsche per tornare a Firenze, che magari lì un allenamento riescono a farlo. Va tutto bene fino a pochi chilometri da casa, quando Vincenzo perde il controllo della macchina e si ritrova a rotolare per la strada. In quelle frazioni di secondo l’istinto gli fa pensare che il suo tempo sia scaduto. Così, senza preavviso: un triplice fischio che disarciona il suo volo sulle ali di un futuro che profumava d’azzurro. Caso ne esce quasi incolume, cavandosela con la rottura del naso. Guerini, invece, ha una doppia frattura del perone e il polpaccio disintegrato, oltre ad aver perso tre litri di sangue. Si fa due mesi e mezzo in ospedale, tre operazioni in Italia e due a Vienna per provare a rientrare: tutto inutile. Il 4 maggio 1977 si arrende a un’evidenza che aveva disperatamente provato a contrastare. A poco più di ventitré anni è già un ex che deve reinventarsi una vita.
Potrebbe cadere in depressione ma le esperienze vissute in famiglia lo hanno reso forte: aveva visto il padre lavorare come operaio e la sorella morire diciottenne per un male incurabile. Così Vincenzo decide di lasciarsi alle spalle dolore e recriminazioni e guardare avanti. Comincia ad allenare nelle giovanili della Fiorentina, dagli Allievi fino alla Primavera, dove ha solo pochi anni in più dei ragazzi che gestisce. Con Cecconi, Bortolazzi, Moz, Carobbi, Coppola, Fattori vince un torneo di Viareggio e un campionato Primavera. Si dice che con i giovani sia molto esigente ma Guerini vuole solo evitare che commettano i suoi errori, quelli che, per via dell’età, ricorda ancora bene.
Poi le panchine diventano quelle dei grandi: Empoli tra i cadetti, quindi la prima volta in A col Pisa di Anconetani. Nella diatriba tra gioco a uomo e a zona che negli anni Ottanta caratterizza il calcio italiano, lui si pone a metà: difesa a uomo, zona mista a centrocampo, nessuna estremizzazione della tattica del fuorigioco. Con i nerazzurri non riesce a mantenere la categoria, che riuscirà a ritrovare solo nel 1992-93 con l’Ancona. Nel 1997-98 porta alla salvezza il Piacenza, penultima panchina di Serie A prima delle due partite che colleziona a Firenze nel 2012 dopo l’esonero di Delio Rossi conseguente alla scazzottata con Adem Ljaji?. Le ultime di una carriera fatta di tante annate in giro per l’Italia: luoghi e città in cui, esperienza anconetana a parte, non rimane mai per lunghi periodi, lottando ogni volta con quella grinta operaia più forte della disperazione che avrebbe potuto farlo annegare nel tranello che la sfortuna gli aveva teso.
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