Riquelme, il numero dieci che ha unito Kempes, Maradona e Messi

Riquelme, il numero dieci che ha unito Kempes, Maradona e Messi

Dalle vittorie col Boca all’epopea del Villarreal, storia di un campione che Jorge Valdano riteneva capace, col suo gioco, di riempire “gli occhi di paesaggi meravigliosi” 

Paolo Valenti/Edipress

24.06.2023 ( Aggiornata il 24.06.2023 08:01 )

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La vicenda di Juan Roman Riquelme è intrisa di passaggi ricamati intorno alla storia dei più grandi campioni messi in mostra negli ultimi quarant’anni dal calcio argentino. Il primo è quello che lo vede venire al mondo: è il 24 giugno 1978, un sabato vissuto da tutta la nazione nell’attesa della finale del Mondiale che la squadra di Menotti sta per andare a giocare il giorno dopo contro l’Olanda. Il piccolo Riquelme nasce giusto in tempo per essere presente alla consacrazione di Mario Kempes, l’eroe di quell’Argentina che vince la sua prima Coppa del Mondo. Pur non essendo un giocatore dai connotati tecnici tipicamente da dieci, è quello il numero di maglia che veste il Matador. Un numero che aleggia su Riquelme, nel quale, di riflesso, si imbatte ancora il giorno del suo nono compleanno: è il 24 giugno 1987 e mentre Juan Roman spegne le candeline a Rosario nasce un altro diez che segnerà la storia dell’Argentina: Leo Messi.

Riquelme e quel cambio con Maradona

Ma quello più grande di tutti, che idealmente gli lascerà le consegne di quella maglia del Boca, sarà il Dieci per antonomasia. Il calendario segna la data del 25 ottobre 1997 e, al Monumental, si tiene il Superclasico tra River e Boca. Maradona gioca la sua ultima partita e lascia definitivamente il campo nell’intervallo, sostituito da quel diciannovenne che, fin quando non toccherà a Messi metter la corona, sarà il reggente di quel regno fatto di tecnica, invenzioni e magie che alimentano le aspirazioni delle squadre e la meraviglia dei tifosi. Riquelme era arrivato al Boca due anni prima proveniente dall’Argentinos Juniors: gli Xeneizes avevano battuto la concorrenza del River versando 800.000 dollari, probabilmente facilitati, almeno in parte, anche dalle simpatie calcistiche del padre di Roman, tifoso degli azul y oro, che non avrebbe visto di buon occhio il figlio vestire la maglia dei Millonarios.  

Le vittorie con il Boca Juniors

Per la cronaca quel match finirà 2-1 per il Boca anche se, per diventarne un giocatore fondamentale, Riquelme dovrà aspettare l’anno successivo, quando ad allenare il club bonaerense arriverà Carlos Bianchi, reduce dall’infelice esperienza fatta a Roma, città nella quale non seppe modellare un ancor giovane Francesco Totti. In patria il tecnico ritrovò serenità ed equilibrio nelle valutazioni, dando a quello scalpitante talento la maglia numero dieci, fidandosi della sua capacità di assumerne onori e responsabilità. El Mudo (questo il soprannome che aveva guadagnato il ragazzo per via della sua scarsa loquacità: ma a cosa servono le parole quando si riesce a trasformare il proprio lavoro in una forma d’arte?) non deluse le aspettative, diventando di quel Boca il solista più raffinato, quello che spargeva polvere di bagliore luccicante sulle prestazioni del Muro Walter Samuel e del Titan Martin Palermo. Anche oggi rivedere le immagini dei suoi prodigi avvolge chi guarda dentro un incanto estetico velato di sorpresa: il pallone è un’estensione nei piedi di Riquelme, vive una relazione possessiva che concepisce la distanza solo per raggiungere l’obiettivo finale per il quale la sfera viene giocata: il gol. Quell’esperienza nel Boca, fatta di campionati vinti e della conquista della Coppa Libertadores, si sublima nell’affermazione nella Coppa Intercontinentale ai danni del Real Madrid, sconfitto 2-1 il 28 novembre 2000 grazie anche a una prestazione superlativa di Roman.

Riquelme e i dissidi con Van Gaal

Dopo una nuova vittoria nella Libertadores datata 2001, per Riquelme si aprono inevitabilmente le porte dell’Europa. È il Barcellona a farlo approdare in Spagna, come era successo negli anni Ottanta a Maradona. Ma, proprio come era accaduto anche al Pibe de Oro, la Catalogna si rivela presto un percorso di espiazione più che un luogo di conquista. Il rapporto con Van Gaal è problematico sin dal primo impatto: lui Roman non l’avrebbe nemmeno acquistato. Troppo lontano dai suoi paradigmi di gioco, troppo individualista e accentratore per potersi inserire con profitto negli schemi di gioco del tecnico olandese, che per evitare di stravolgere la squadra decide di confinarlo all’ala sinistra, spazio di campo dove spesso vengono relegati i calciatori di talento da allenatori che non riescono a concepirli nelle dinamiche del calcio moderno. Del resto un grandissimo connazionale come Jorge Valdano aveva detto di lui: ”Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un’autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi”. Alfio Basile, più tardi suo allenatore nel Boca e in Nazionale, con termini non propriamente oxfordiani, lo descrisse come uno che “aveva gli occhi al posto del culo”. Ma Van Gaal ha un’idea diversa del calcio: stropiccia Roman ai limiti della maleducazione, non perde occasione per evidenziarne le mancanze, lo sollecita a cambiare aria per permettere al Barcellona di monetizzarne il valore di mercato, impostando una relazione che non ha senso coltivare.

Il passaggio al Villarreal

L’esperienza catalana dura solo un anno. Nel 2003 i blaugrana lo danno al Villarreal. Un’occasione che Riquelme capitalizza al meglio, perché il Sottomarino Giallo in quegli anni viaggia che è una meraviglia, imponendosi nel panorama europeo come una piacevolissima sorpresa. Manuel Pellegrini, contrariamente a Van Gaal, mette la squadra nelle mani di Roman, che con le sue giocate rifornisce Forlan, dialoga con Senna, innesca Sorin e raggiunge la semifinale di Champions che, nel 2006, va giocata contro l’Arsenal. Un doppio confronto che segna un nuovo punto di svolta nella carriera di Riquelme. Già, perché a tre minuti dal termine del match di ritorno, quando il risultato è fermo sullo 0-0, al Villarreal viene concesso un calcio di rigore, quello che può permettere di pareggiare l’1-0 patito a Highbury. Sul dischetto non può che andare lui, il calciatore più talentuoso della squadra: l’argentino che, pur giocando con la maglia numero otto, nell’anima e nei piedi sarà sempre un dieci. In quanto tale chiamato al tiro dagli undici metri per vocazione spontanea, legge non scritta, allitterazione calcistica ma, non per questo, automaticamente vincente. Il tiro non è dei più efficaci per angolazione e potenza; Lehmann, portiere dei Gunners, lo intuisce per scommessa o intuizione. E le speranze del Villarreal muoiono addosso a quel mancato sorriso. È l’inizio della fine della storia tra Riquelme e gli spagnoli: nei mesi seguenti i rapporti con Pellegrini peggiorano drasticamente e così, all’inizio del 2007, El Mudo torna nell’unico posto dove ha voglia di stare: l’amato Boca.

Il ritorno in Argentina di Juan Roman Riquelme

Non è un ritorno che sa di disimpegno. Roman è ancora pienamente ispirato, capace di trascinare gli Xeneizes alla conquista di un’altra Coppa Libertadores, nella quale i suoi gol sono decisivi nella doppia finale col Gremio e ai fini del riconoscimento di miglior giocatore della manifestazione. Fino al 2014 la maglia del Boca rimane il pennello col quale continua a dipingere quel calcio prossimo all’arte che l’incedere delle stagioni spinge progressivamente negli archivi del passato. Prima di congedarsi definitivamente, scende un ulteriore gradino della scala che lo riporta agli inizi del suo cammino, andando a disputare l’ultimo anno da calciatore con l’Argentinos Juniors, club nelle cui giovanili aveva militato nei primi anni Novanta. A quel punto l’Argentina può finalmente inserire nel libro della storia dei suoi migliori numeri dieci il capitolo dedicato a Juan Roman Riquelme. 

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