Roberto Carlos, il terzino dalle punizioni galattiche

Roberto Carlos, il terzino dalle punizioni galattiche

Protagonista nel Real Madrid, nel 2002 vinse il Mondiale con il Brasile. Oltre che per i trofei, è ricordato per il modo devastante con cui calciava dalla lunga distanza 

Paolo Valenti/Edipress

10.04.2023 ( Aggiornata il 10.04.2023 08:44 )

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Parlare di terzini brasiliani apre il campo a considerazioni che vanno oltre l’aspetto meramente difensivo del gioco. In qualunque epoca, provenienti da qualsiasi stato della federazione, i giocatori chiamati a tenere quella posizione ne hanno dato un’interpretazione estensiva che per i canoni del calcio europeo sono stati a lungo inusuali, con quella dedizione orientata più alla fase offensiva che a quella di contenimento che ha reso spesso il laterale difensivo un giocatore più prossimo a centrocampisti ed attaccanti che ai compagni di reparto.

L’esperienza con l’Inter

A questa descrizione non ha fatto eccezione uno dei migliori protagonisti del ruolo tra gli anni Novanta e i Duemila: Roberto Carlos. Compatto nelle dimensioni corporee (168 centimetri per circa 70 chili di peso), velocissimo grazie anche a quadricipiti molto sviluppati (correva i 100 metri in meno di 11 secondi), il terzino paulista si affacciò al calcio del vecchio continente poco più che ventenne con un curriculum già interessante maturato in patria col Palmeiras, club con il quale aveva vinto due campionati brasiliani e si era guadagnato l’ingresso in nazionale. Fu l’Inter a portarlo in Italia ma l’impronta che lasciò nella nostra serie A non faceva immaginare il prosieguo di carriera che attendeva quel ragazzo che nel nostro campionato sembrò un po’ spaesato. Colpa dell’età; più ancora, probabilmente, di una stagione particolarmente tribolata per i nerazzurri, che videro sedere in panchina, in rapida successione, Ottavio Bianchi, Luis Suarez e Roy Hodgson. Soprattutto il tecnico inglese non vide in Roberto Carlos prospettive di sviluppo, avallando senza problemi la sua partenza verso Madrid e preferendo puntare sulla crescita di Alessandro Pistone. Una fortuna per il brasiliano, un’occasione perduta per i nerazzurri.

Gli anni col Real Madrid

Indossando la camiseta blanca, nelle stagioni successive entrò di diritto nella storia del club facendo parte di quella (quasi) invincibile armata che in un decennio seppe conquistare tre Champions League, due Coppe Intercontinentali e quattro campionati spagnoli: i Galacticos. Nel Real Roberto Carlos trovò la sua dimensione ideale di terzino sinistro a tutta fascia: debordante in attacco, dove riusciva con la stessa facilità ad arrivare al cross o accentrarsi per provare la conclusione dalla distanza, e accorto in difesa, arricchito dai suggerimenti in materia di Don Fabio Capello.
Anche la Nazionale gli aveva riaperto le porte: dopo averlo illuso con le prime convocazioni arrivate nel 1992, la Seleção gli aveva improvvisamente voltato le spalle proprio in occasione del Mondiale di USA 94, togliendogli la possibilità di diventare campione del mondo. Ma proprio da chi giocava nel suo ruolo riuscì a imparare uno dei colpi migliori del suo repertorio: il calcio di punizione tirato a tre dita con l’impatto sulla valvola del pallone. Fu Claudio Branco a mostrargli la dinamica del movimento che lui seppe replicare rendendo i suoi tiri dalla distanza degli strumenti determinanti per risolvere le partite. Ed è proprio grazie al miglioramento della tecnica di tiro che Roberto Carlos è rimasto impresso nella memoria dei calciofili con una punizione che, seppur realizzata in un torneo amichevole, viene ricordata per la sua inarrivabile perfezione.

La punizione di Lione

Il gol che segnò a Lione il 3 giugno 1997 aveva qualcosa di fantascientifico, una parabola a metà tra la potenza e la tecnica che solo gli ideatori dei cartoni animati giapponesi avrebbero potuto avere la fantasia di disegnare. Un tiro da trentacinque metri che sembrava destinato a finire sugli spalti prima di tornare magicamente verso il palo interno abbassando la traiettoria; un maglio perforante che seguiva una curva a rientrare simile a quella che tracciano i frisbee lanciati controvento. Un prodigio che non ha deciso un Mondiale o una Champions League ma è rimasto nella storia del calcio come un paradigma da spiegare ai ragazzini delle scuole per poter imparare. Che tanto Roberto Carlos nella storia del calcio ha saputo scrivere anche le pagine nelle quali si parla di trofei.

Mondiali e Champions

Dopo aver mancato il Mondiale del 1994, arrivò in finale nel 1998 e vinse nel 2002 con gli amici di una vita: Cafu, suo alter ego sulla fascia destra, e Ronaldo, compagno di stanza di infiniti ritiri, tanto da spingerlo a dichiarare: ”Ho dormito più con lui che con mia moglie”. Qualche settimana prima era stato protagonista anche della finale di Champions League vinta dal Real Madrid contro il Bayer Leverkusen fornendo gli assist a Raul e Zidane per i loro gol decisivi. Un 2002 magico quello di Roberto Carlos, che si concluse col secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro, che quell’anno spettò di diritto al Fenomeno Ronaldo. Terminata l’esperienza a Madrid, il terzino brasiliano continuò la carriera con Fenerbache, Corinthians e Anzhi oltre a firmare un’estrema, fugace apparizione nell’Indian Super League. Polvere di stelle per un giocatore che “se lo definisco l''uomo proiettile', o la 'formica atomica, è perché il suo gioco mi suggerisce solo paragoni esplosivi. Terzino da un estremo all'altro del campo; vicino a una bandierina del corner toglie il pallone all'avversario e vicino all'altra bandierina crossa, tira, o le due cose insieme. La virtù di cui vive, che lo rende unico e della quale a volte abusa, è la potenza”. Parola di Jorge Valdano.

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