Pivatelli, dal fallimento con l’Italia alla Coppa dei Campioni col Milan

Pivatelli, dal fallimento con l’Italia alla Coppa dei Campioni col Milan

Unico capocannoniere azzurro della Serie A negli anni Cinquanta, con la Nazionale non riuscì a qualificarsi ai Mondiali del 1958. Nel 1963 vinse la storica finale di Wembley

Paolo Valenti/Edipress

27.03.2023 11:03

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Ripassare le storie di giocatori che, per via dell’anagrafe, non sono più nell’immediata disponibilità dell’immaginario collettivo fa gustare l’antico sapore del tempo. Una di queste è quella di Gino Pivatelli, calciatore veneto che calcò i campi della nostra Serie A tra gli anni Cinquanta e i primi Sessanta del secolo scorso. Un giocatore poliedrico e un uomo tranquillo, che del suo percorso tra le stelle del pallone porta più a cuore le amicizie che ha potuto instaurare piuttosto che i successi che ha conseguito. Anche questo, probabilmente, segno inequivocabile dei tempi cambiati, di un’Italia che, convalescente dalla guerra e ancora innervata delle sue origini contadine, indulgeva più sui valori umani che sulle sollecitazioni edonistiche.

Pivatelli e i primi anni col Verona

Quando capì che aveva del potenziale da esprimere, Pivatelli iniziò il giro dei provini. L’Inter lo scartò, forse per via di un fisico che ancora non prometteva grandi cose. Il Verona, più paziente e lungimirante, lo accolse tra i suoi ragazzi dopo averlo testato in diverse occasioni. Per cominciare una carriera da professionista l’aria di casa era forse quella migliore, essendo Gino nativo di un paese della provincia, Sanguinetto. Con i gialloblù, in effetti, il ragazzo mette in mostra le sue doti. Giocando da mezza punta parte spesso arretrato per arrivare poi a scaricare un tiro preciso e potente: nella stagione 1952-53 sono 15 i gol che riesce a realizzare. Con queste credenziali la Serie B non può essere più un’opzione. Infatti il Bologna del presidente Dall’Ara lo adocchia e lo mette sotto contratto.

Nel Bologna di Dall’Ara

Nasce una storia importante, non solo professionale ma anche umana perché la Dotta sarà la sua casa anche dopo la fine della carriera. L’approccio con la città è ottimo: Bologna non è una metropoli caotica e, come Verona, mantiene e coltiva quel senso della dimensione umana e della relazione virtuosa che, a un ragazzo tranquillo com’è Pivatelli, consente di crescere senza affanni. Nel terzo anno di militanza rossoblù succede anche che la squadra si trovi in difficoltà per via degli infortuni di Bonafin e Cappello, attaccanti ai quali il tecnico Campatelli non trova un sostituto migliore di Gino: ”Col tiro che hai…” gli disse per convincerlo ad avanzare la sua posizione. Non fu difficile, anche perché i gol, che alle annate di Pivatelli non erano mai mancati, cominciarono a cadere nella porta degli avversari come fiocchi di neve in una tormenta. Nel 1955-56 sono addirittura 29 nelle 30 partite disputate: una media fragorosa che lo spinge ad essere l’unico vincitore italiano della classifica dei cannonieri negli anni Cinquanta. Mirabilie che lo portano a regolari convocazioni in Nazionale, pur se la sua storia con la maglia azzurra incespica con la malasorte.

L’esperienza azzurra

Aggregato, pur senza scendere in campo, alla fallimentare spedizione al Mondiale svizzero del 1954, Pivatelli gioca la prima partita con l’Italia il 30 marzo 1955 a Stoccarda in un’amichevole contro i campioni del mondo della Germania Ovest. Un buon esordio nel quale tocca proprio a lui realizzare il gol della vittoria che sembra promettergli un connubio sereno come quello con la sua squadra di club. In realtà la nostra Nazionale in quegli anni non riesce a sollevarsi dalla mediocrità che la porterà all’eliminazione dalla fase finale dei Mondiali del 1958 e Gino viene travolto, oltre che dai risultati poco esaltanti, anche dagli strali di una critica che, con l’inchiostro di Brera, gli getta addosso la croce della condanna, espressa senza mezze misure dal sommo Gianni in seguito alla sconfitta che gli azzurri rimediano a Budapest il 27 novembre 1955 contro l’Ungheria (2-0): "Il suo carattere esclude che gli debba toccare mai più l’onore della maglia azzurra. È preferibile l’ultimo dei cianchettoni al primo dei professori morti". Altro che i commenti che gli haters di oggi scaricano sui social: la stroncatura di Brera aveva il valore di una lettera scarlatta, anche se Gino riuscì a giocare altre quattro partite (e a realizzare un gol) con la Nazionale. L’ultima, disputata a Belfast il 15 gennaio 1958, sancì la clamorosa eliminazione dell’Italia dai Mondiali di Svezia.  

La Coppa di Wembley e il Bologna di Maifredi

La sua impronta nel calcio internazionale Pivatelli riuscì comunque a lasciarla a Wembley il 22 maggio 1963 scendendo in campo con il Milan di Nereo Rocco, la prima squadra italiana a vincere una Coppa dei Campioni che, fino a quel momento, era stata appannaggio esclusivo di Real Madrid e Benfica, lo sconfitto di quella finale. A Milano Gino era arrivato dopo aver trascorso una stagione interlocutoria al Napoli. Il Paron lo aveva reinventato difensore, lui aveva saputo adattarsi come quella volta che Campatelli gli aveva chiesto di provare a fare l’attaccante. Avendo visto il campo da ogni angolazione, finita la carriera fece l’allenatore con squadre della provincia prima di affiancare Maifredi nell’avventura del Bologna del calcio champagne. Ma quello, ormai, si avviava a essere un calcio nel quale per gli ex ragazzi come Pivatelli lo spazio si era inesorabilmente ristretto. 

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