"Basletta" Lodetti, il gregario per eccellenza del Milan di Rocco

"Basletta" Lodetti, il gregario per eccellenza del Milan di Rocco

Compie 80 anni il centrocampista lodigiano pilastro dei rossoneri e della Nazionale negli anni Sessanta. Con il Diavolo ha vinto tutto, con gli Azzurri è campione d’Europa

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Corri, "Basletta": corri! E Giovanni Lodetti non ha mai fatto altro nella sua carriera, come da testimonianza recente di giovanotti che si sono ritrovati in un parco alla periferia di Milano l'ex centrocampista della nazionale senza riconoscerlo, salvo poi complimentarsi con lui per come non smettesse mai di trottare per il campo, sempre appresso alla palla.

Giovanni Lodetti compie oggi 80 anni, un traguardo importante, e vogliamo celebrarlo ripercorrendo la sua lunghissima carriera, peraltro piena di successi.

Dalla periferia 

Caselle Lurani: quattro case in provincia di Lodi (oggi). Nel 1942, sempre quattro case ma in provincia di Milano, e che davano ancora più l'idea di nebbia, inverni gelidi e umidi, l'ultimo posto in Italia da cui potesse saltar fuori un calciatore professionista. E invece eccolo lì, il "Giuànn", Giovanni Paolo all'anagrafe, a crescere in un Paese dove se un ragazzino è appena appena bravo a giocare a pallone va via, e se in Serie A meglio. Al Milan, che all'inizio degli anni Sessanta è già una potenza, ma ha bisogno di ricambi a centrocampo.

Giovanili e via, agli ordini del "Paròn" Nereo Rocco. A 17 anni viene tesserato per 100mila lire e una muta di maglie, lo vanno a prendere con la Lambretta. Primo stipendio, 160mila lire, robe da fantascienza in casa Lodetti: "Basletta", chiamato così per quel suo mento pronunciato, sale sull'autobus con la mano sul cuore e non la toglie fino a casa, nella tasca interna della giacca tiene i soldi e non vuole allontanarsene neanche un secondo, perché viene da una famiglia dove ogni briciola è preziosa, a partire da papà Angelo, che sgobba come falegname e prende molto meno di lui.

Dopodiché, in campo, a remare per il "Golden Boy", e cioè Rivera. Polmoni e corsa, mentre il numero 10 pennella magie. Di fatto è il suo scudiero, quello che tappa i suoi buchi. "Non è vero. Anche Rivera correva, eccome - dirà comunque Lodetti - Ed è stata un’immensa fortuna per il Milan avere un giocatore come lui. Era un genio".

Cominciano, per i rossoneri e per Giovanni, dieci anni memorabili: due scudetti, due Coppe dei Campioni, un'Intercontinentale, una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia. Lodetti non marca praticamente mai visita, di infortuni o di contrattempi pochissimi.

Non è un gregario solo polmoni, ha anche piedi buoni e se può tira in porta, centrandola anche spesso: alla fine saranno 26 gol in 288 presenze con la maglia del Milan. Fuori dagli undici titolari a Wembley nel 1963 nel 2-1 al Benfica, titolare a Madrid nel 1969 nel 4-1 all'Ajax, nelle due finali mitiche di Coppa Campioni dei ragazzi di Rocco, di fatto prende il posto in campo di Dino Sani, anche se con compiti più di copertura. Quando debutta da titolare, nel 1962, è vittima dell'ennesima burla da "Paròn" del tecnico triestino: "Senti Lodetti oggi abbiamo deciso di diventare matti, ti facciamo giocare. Poi arrangiati"

Ci rimarrà un po' male, nel 1970, quando si sentirà in parte scaricato dal Milan. Finisce alla Sampdoria, da Milano non è lontano: ha appena avuto un figlio, ha comprato casa, ma "Fuffo" Bernardini lo fa subito capitano dei blucerchiati, con cui disputerà tre stagioni un po' travagliate. Accanto a lui un altro "scaricato" di lusso, ma dell'Inter: Luis Suarez. Troppo importante comunque la sua presenza, il suo contributo in personalità. Le ultime tappe nei club di "Basletta" saranno al Foggia e al Novara prima di dedicarsi a un lavoro nel mondo della ceramica, assieme a un amico. Ma tornerà a parlare di calcio nelle televisioni private, sempre col suo tono ironico.

Messico '70

Anche in Azzurro il buon Giovanni ha avuto una carriera eccellente. In un periodo in cui in Nazionale la concorrenza nel ruolo era spietata, Lodetti trova il suo attimo di gloria nel 1968, quando fa parte della squadra che vince in casa l'Europeo. Anche lì c'è da fare il gregario per i tanti campioni dell'Italia, ma senza mai fiatare "Basletta" dà il suo contributo.

C'era già anche al terribile Mondiale del 1966, ma non in campo nella disfatta contro la Corea del Nord. Chissà, sarebbe venuto utile al commissario tecnico Edmondo Fabbri, ma per quella partita il ct fece turnover convinto del livello scarso degli avversari: "Fabbri cambiò mezza squadra: lasciò fuori me, Burgnich, Rosato, Salvadore, Leoncini, Pascutti e mandò in campo Bulgarelli infortunato. Che si fece male subito, non c’erano le sostituzioni e restammo in dieci. Sbagliammo anche un paio di occasioni con Perani", ricorderà Lodetti, che di "Mondino" darà questa definizione: "Non era un uomo molto tenero, chiedeva disciplina. Più offensivo di Herrera, ricordava Trapattoni per le scaramanzie. Dopo una sconfitta, cambiava la strada per andare allo stadio".

Nulla come delusione, però, in confronto a Messico '70. Lodetti è convocato regolarmente tra i 22, ma poco prima dell'inizio del Mondiale per un banale contrattempo si fa male Anastasi. Dall'Italia per sostituire "Pietruzzo" non arriva un attaccante, bensì due: Boninsegna e Prati. Adesso gli azzurri sono 23, uno di troppo. Chi salta? Sui giornali esce la notizia che il sacrificato è Giovanni, il quale non ci crede fino a quando, l’ultimo giorno prima della conferma ufficiale della lista alla Fifa, mentre tutti sono a guardare in Tv l’amichevole del Brasile arriva Tresoldi, il massaggiatore: "Lodetti, ti vogliono di sopra". Giovanni va a parlare con i dirigenti della Nazionale, che gli confermano l'indiscrezione: deve tornare a casa. Gli offrono di restare come ospite, gli propongono di invitare la sua famiglia per una vacanza ad Acapulco, garantendogli gli stessi soldi degli altri. Negativo, niente vacanza, niente ospite: Lodetti torna a casa, dove riceverà solo la metà della cifra pattuita. No, non si umiliava così "Basletta".

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