Oscar Washington Tabarez, un Maestro per la rinascita dell’Uruguay

Oscar Washington Tabarez, un Maestro per la rinascita dell’Uruguay

Nato a Montevideo il 3 marzo 1947, ha allenato per 17 anni la Celeste. In patria e nel mondo è riconosciuto come una leggenda vivente

Jacopo Pascone/Edipress

03.03.2022 09:53

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Negli occhi di tutti restano le immagini degli ultimi anni, che lo ritraggono ben saldo sul suo bastone o nei campi di allenamento della Celeste, raggiunti spesso a bordo di uno scooter elettrico smontabile, che lo ha aiutato a muoversi negli spazi più ampi senza l’utilizzo del fedele bastone. Quella di Oscar Washington Tabarez è innanzitutto la figura di un combattente, un guerriero che non ha mai mollato. Nonostante tutto: nonostante la malattia. Al “Maestro” è stata diagnosticata nel 2016 la sindrome di Guillain-Barré, malattia neuromuscolare che colpisce il sistema nervoso, comportando disturbi ai muscoli degli arti superiori e inferiori, fino a impedire la deambulazione. La sua storia è fedele al sangue del suo popolo che, almeno nel campo del futbol, si è sempre distinto per la grinta mostrata: la celebre “garra uruguagia”. Ma pensare che la figura del Maestro incarni solo questo è errato: Oscar Washington Tabarez è molto, ma molto di più. Innanzitutto è un Maestro, non solo di calcio, ma nella vita. Prima di sedere in panchina si è accomodato dietro una cattedra, intraprendendo la carriera da insegnante. Per questo il motivo del soprannome che possiede non ha mai trovato ostacoli, ma solo semplici interpretazioni.

Il passaggio dalla cattedra alla panchina

El Maestro, nato a Montevideo il 3 marzo del 1947, ha anche un passato da difensore, vissuto con discreti risultati tra Argentina, Messico e Uruguay. Una volta appesi gli scarpini al chiodo non ha mai abbandonato totalmente il futbol, dividendo le sue giornate tra la scuola e i campi da calcio, dove dal 1980 allena le giovanili del Club Atletico Bella Vista, società con cui aveva vissuto gli ultimi anni da calciatore. Nel 1983 il primo approccio con la nazionale uruguaiana, selezione con la quale vivrà un sodalizio unico e irripetibile. Gli vengono affidati i giovani dell’Under 20, esperienza che lo proietterà appena 36enne per la prima volta su una panchina importante. In campo, come a scuola, Tabarez ha sempre dato più importanza alla persuasione che all'imposizione: “È importante che l'alunno, o nel caso di una squadra il giocatore, dia un significato a quello che sta facendo. Il calciatore deve crescere sentendosi indipendente”. Persuasione è sinonimo di convinzione, anche se nel calcio, spesso, per convincere servono i risultati. Quelli che il Maestro di Montevideo raggiunge alla guida del Penarol nel 1987, vincendo la Coppa Libertadores, quinto e ultimo titolo internazionale per il sodalizio uruguagio.

L’approccio con la Celeste e gli anni in Serie A

Dopo una breve parentesi al Deportivo Cali, gli viene finalmente affidata la panchina della nazionale maggiore in vista dei Mondiali di Italia ’90. Tabarez guida la squadra capitanata dal futuro cagliaritano Enzo Francescoli fino agli ottavi di finale, quando è fatale per la Celeste la sconfitta inflitta dall’Italia. C’è proprio il nostro Paese nel futuro del Maestro: dopo un biennio al Boca Juniors – condito dalla vittoria dell’Apertura 1992 – e una stagione passata ancora al Penarol, Tabarez approda in Sardegna per prendere il posto di Bruno Giorgi sulla panchina del Cagliari. L’esperienza rossoblù è assolutamente positiva: con il suo atipico 5-2-3 riesce a chiudere il torneo 1994-95 al 9° posto. Non si può dire la stessa cosa dell’avventura che l’uruguagio vive al Milan nel ‘96, durata solo fino al 1° dicembre, quando la celebre (e splendida) rovesciata di Pasquale Luiso gli costa la panchina. Poco male, caratterialmente Tabarez non si sposa con la Serie A e decide di ripartire dalla Liga, con un importante assunto appreso durante l’esperienza italiana: “Spesso si parte da un assunto errato, che il possesso del pallone porti a un maggior numero di occasioni da gol. Ho imparato in Italia, dove il possesso palla non è santificato come in altri paesi, che puoi far male agli avversari anche senza avere il controllo della sfera”. Dopo qualche anno, in cui guida il Real Oviedo alla salvezza (1997-98), transita ancora a Cagliari ma senza successo, allena il Velez e ancora il Boca, e a distanza di 16 anni dall’ultima volta, viene richiamato alla guida della nazionale per riportare in alto la Celeste.

Oscar Washington Tabarez e l’Uruguay

“Il calcio è attacco e difesa, e difendere non è una mala parola. Molti dicono di giocare all'attacco solo per farsi un'immagine, ma difendersi è un'arte, se lo si fa senza cattiveria”. Partendo da questo concetto e da quello sopra citato costruirà la sua nazionale. Una squadra pragmatica, basata su una difesa solidissima e su un equilibrio, che sfocia nel grande talento offensivo mai mancato alle ultime generazioni uruguagie. “È più di un allenatore. È un formatore di uomini”, dirà di lui Diego Godin, il capitano di mille battaglie, che con Tabarez è diventato grande. Sì perché il Maestro, oltre carisma e leadership, ha sempre mantenuto quell’umiltà che gli ha permesso di essere ascoltato, compreso e (ci ripetiamo) persuasivo nei confronti dei suoi calciatori/alunni. Ha costruito una nazionale in grado di raggiungere le semifinali del Mondiale 2010 (miglior risultato dai Mondiali del ’70 per la Celeste); di tornare a trionfare in Coppa America l’anno successivo (diventando così la più titolata nell’albo d’oro con 15 titoli, raggiunta dall’Argentina nella scorsa estate); ma soprattutto ha ridato un’identità all’Uruguay, rimettendolo al centro del palcoscenico, rendendolo una delle nazionali più temibili a livello mondiale. Oscar Washington Tabarez ha dato tutto, anche quando non ha più avuto forza per camminare sulle proprie gambe. La sua esperienza è terminata con un triste esonero, arrivato lo scorso 19 novembre in seguito a quattro sconfitte consecutive nel girone di qualificazione al prossimo Mondiale. "Esprimiamo con enfasi che questa decisione non implica ignorare l’importante contributo di Tabárez al calcio uruguaiano. Lo salutiamo riconoscendogli quanto ottenuto in questi 15 anni, che hanno rimesso l'Uruguay nelle prime posizioni del calcio mondiale". Ci mancava solo che non gli venisse riconosciuto lo straordinario lavoro svolto in questi lunghi 15 anni, che lo hanno reso l’allenatore più presente in assoluto sulla panchina di una nazionale (222). Una leggenda vivente che avrebbe meritato di partecipare al suo quinto personale Mondiale (ammesso sempre che senza il suo Maestro l’Uruguay riesca a qualificarsi). Comunque vada: Oscar Washington Tabarez è già un’icona.

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