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L'attaccante venne strapagato nel gennaio del 2000 e segnò quasi subito contro la Roma. Da lì in poi non combinò molto altro
Chissà cosa ci aveva visto di speciale il Milan in José Maria Romero Poyòn, in arte José Mari. Una certa esuberanza atletica, del resto oggi lo spagnolo è un influencer del body building a nemmeno 50 anni con un fisico scolpito, e sicuramente la capacità di giostrare in più ruoli dell'attacco, che nel 3-4-3 dell'epoca proposto da Zaccheroni era manna dal cielo.
Per il resto José Mari fu un acquisto sbagliato o più probabilmente illusorio, costoso e poco redditizio, come qualità-prezzo forse il peggiore nella storia del Milan nel mercato di gennaio.
Pronti via, nemmeno un minuto in campo e gol di testa contro la Roma con una girata di nuca. Cross di Boban felpato dalla sinistra e pareggio di José Mari, entrato da una manciata di secondi al posto nientemeno che di Andriy Shevchenko.
Vista con gli occhi di oggi, una sostituzione impensabile, assurda, da non crederci. E invece lo spagnolo si rivela subito decisivo, nel 2-2 con cui il Milan esce imbattuto da San Siro la sera del 9 gennaio 2000.
Fenomenale esordio per uno costato 35 miliardi di lire (18-19 milioni di euro), incassati con grande piacere da un Atletico Madrid in debito d'ossigeno e destinato a retrocedere, invece, in quella stagione 1999-2000. Un Atletico Madrid in cui aveva occupato un ruolo importante, quello di allenatore, Arrigo Sacchi, ex tecnico rossonero e scopritore di José Mari prima di essere esonerato. Non c'è dubbio che "Il Vate di Fusignano" un consiglio alla dirigenza rossonera l'avesse dato.
José Mari è stato il primo spagnolo a vestire la maglia del Milan. Curioso per un club che ha sempre fatto del gioco spumeggiante il suo stile di vita, specie con Berlusconi presidente. Del resto nel dubbio meglio i brasiliani, si sono sempre detti a Milanello.
Tuttavia lo spagnolo, esuberante attaccante esterno con velleità da centravanti, non ha mantenuto le promesse. A quel gol contro la Roma ne sarebbero seguiti ben pochi nei due anni e mezzo trascorsi a Milano: coi suoi capelli lunghi da ribaldo, lui andaluso di Siviglia, non riuscirà mai a integrarsi né con Zaccheroni né con Cesare Maldini né con Terim né con Ancelotti.
In alcune partite della successiva stagione andrà a comporre una improbabile coppia di attaccanti iberici assieme a un vero “bidone”, fatto e finito, come Javi Moreno, per la disperazione dei tifosi del Diavolo.
Verrà via via emarginato nonostante sulla carta fosse un attaccante molto duttile, buono per un tridente o un attacco a due, in coppia con Shevchenko. Però 14 gol in 75 presenze complessive, di cui 5 in Serie A, rimangono un bottino esile per uno arrivato in corsa. Se non avesse segnato subito, chissà.
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