Giorgio De Stefani, il tennista gentiluomo protagonista degli anni ’20 e ’30

Giorgio De Stefani, il tennista gentiluomo protagonista degli anni ’20 e ’30

Nato a Verona ma romano d’adozione, fu uomo di sport e di grande prestigio internazionale. A fine carriera intraprenderà un’ottimo percorso come dirigente sportivo 

Alessio Abbruzzese/Edipress

22.10.2022 11:53

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Un’eccellenza dello sport italiano. È difficile trovare una perifrasi più efficace e che più si addice alla figura di Giorgio De Stefani. Il tennista veronese, ma a tutti gli effetti romano d’adozione, appartiene però ad un tempo e ad uno sport lontani anni luce dalla nostra concezione del mondo. Appartiene ad un tempo andato in cui sul cemento o sulla terra rossa si gioca con i pantaloni lunghi di flanella bianca, la camicia sportiva a maniche corte e i capelli sempre in ordine, quando il tennis è davvero uno sport d’élite, inaccessibile ai più. De Stefani per questo sport nutrirà sempre una passione genuina, e non a caso utilizziamo questa parola, perché lui, soprannominato Il Gentleman, di tennis professionistico non vorrà mai sentir parlare. Nonostante il suo grande impegno sui campi di tutto il globo, Giorgio aborrisce la concezione di sport come professione, soprattutto il tennis, e appena può torna nella sua Roma, dove finalmente nel suo habitat, si diletta a tirar di racchetta. Tra la sua dimora di Via Crispi alle corsette mattutine a Villa Borghese, fino al Tennis Roma di Piazzale Flaminio o al Parioli di Viale Tiziano, De Stefani passerà gioiosamente tutte le sue parentesi tra un torneo e l’altro, vivendo l’amore per la città che sentirà per sempre sua, arrivando a dire: ”Sono romano, romano genuino”. 

I primi anni e la passione per lo sport

I primissimi anni De Stefani li passa in una grandissima villa sulla sponda bresciana del Lago di Garda, acquistata da suo padre, dirigente di banca e poi Ministro delle Finanze, e inizia presto a dilettarsi con quegli hobby di lusso, o diporto come amava definirli D’Annunzio, che i signori di mezza Europa iniziano a praticare con divertimento, in un momento in cui tutto il Vecchio Continente sembra vivere una parentesi di benessere e pace. Prima della racchetta da tennis, il De Stefani bambino impara a destreggiarsi con bici e remi, affidato spesso all’intraprendente giardiniere della villa, che gli insegna anche a pescare. Fondamentale per il piccolo Giorgio è il rapporto con sua madre Maria Bonanome, donna incredibilmente dinamica e fuori dall’ordinario che già ad inizio novecento pratica sport e guida un’automobile. Mamà, come affettuosamente l’appella Giorgio, lo accompagnerà sempre, dalle tribune del Parioli fino a New York e Parigi, sempre presente durante le partite del figlio. 

L’arrivo a Roma e la consacrazione come tennista

Ben presto, l’ombra della guerra si posa sulla spensierata e sgargiante favola della Belle Epoque, l’attentato di Sarajevo cambia gli scenari europei e i De Stefani decidono di lasciare le sponde del Garda e trasferirsi a Roma, luogo che il piccolo Giorgio non vorrà lasciare mai più. Qui incontra una figura fondamentale per il suo futuro da tennista: Gino De Martino, primo grande tennista italiano e fondatore del del Circolo Tennis Roma, che lo prende sotto la sua ala e lo inizia alla racchetta. Giorgio stringe una forte amicizia con i figli di De Martino, James e Gigi, praticamente suoi coetanei, e appena può accorre a casa loro, dotata di un campo perfetto, e gioca a tennis. Gli anni romani fanno molto bene al giovane Giorgio, che ben presto si dimostra il più forte di tutti con la racchetta in mano, mettendo le basi per quella carriera che lo consacrerà come il tennista più forte della sua generazione. Nel 1930 diventa campione italiano assoluto, e si appresta alla ribalta internazionale: durante quel decennio sconfiggerà per ben due volte Fred Perry, vincendo nel 1932 gli Internazionali d’Egitto e nel ’35 quelli in Argentina. Giocatore dall’incredibile resistenza, è ricordato da molti per una sua prerogativa unica: De Stefani non usa il rovescio. Nato mancino, diventa ben presto ambidestro, cambiando mano all’occorrenza e giocando sempre di dritto. Nel suo palmares vanta anche le finali degli Internazionali di Francia del ’32, quando si arrende a Henri Cochet, quella del 1934 a Monte-Carlo e infine quella di Roma, dove viene superato dal connazionale Giovanni Palmieri. Grande il suo impegno anche in Coppa Davis, competizione in cui vanta ben 44 vittorie. Dopo la carriera di tennista, intraprende con successo quella di dirigente sportivo, diventando negli anni membro del Comitato Olimpico Internazionale e Presidente della ITF, prima di spegnersi ad ottantotto anni nella sua Roma, il 22 ottobre di 30 anni fa. 

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