James Hunt, lo spericolato playboy icona degli anni ’70

James Hunt, lo spericolato playboy icona degli anni ’70

Il pilota britannico, celebre per le sue gesta sia in pista che fuori, viene ricordato anche e soprattutto per l’amicizia-rivalità con Niki Lauda

Alessio Abbruzzese/Edipress

29.08.2022 08:54

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Danny Vinyard, fratello di quel Derek protagonista di “American History X”, dice che c'è sempre qualcuno che ha detto una cosa nel migliore dei modi, perciò se non riesci a fare di meglio, ruba da lui e farai la tua figura. Trovandoci a parlare del leggendario James Hunt in occasione del ricorrere dei 75 anni dalla sua nascita, noi de Il Cuoio, come chiunque altro voglia parlare del biondo pilota britannico dal 2013 in poi, non possiamo fare altro che prendere da Ron Howard e dal suo capolavoro: “Rush”. Ecco, se volete sapere qualcosa su James Hunt e non lo avete ancora fatto, smettete di leggere e andatelo a vedere.

Hunt, il pilota playboy

James Hunt rappresenta in pieno quella figura di pilota che forse non esiste più: soprannominato già dai primi anni “Hunt the shunt” a causa della sua indole spericolata, volta a cercare sempre il limite e quindi a finire spesso fuori pista, il pilota britannico era un guascone, donnaiolo, sempre spavaldo sia dentro che fuori dal circuito, caratteristiche che gli assicurarono nel tempo la fama di playboy impenitente. Oltre che per il suo grandissimo talento in pista, era celebre per eccedere a volte con l’alcol e con il fumo, comportamento lontano anni luce dal suo storico rivale Niki Lauda, che rappresentava invece il prototipo di pilota moderno. Con l’austriaco darà vita ad una delle rivalità più belle della storia dello sport nel corso degli anni ’70.

L’infanzia e le prime corse

La storia di Hunt comincia molto prima: nato e cresciuto nel sud di Londra da una famiglia della piccola borghesia, si rivela sin da subito un ragazzino portato per lo sport ma allo stesso tempo ribelle ed irrequieto. Il giovane James gioca a cricket, a tennis, è bravo sugli sci e ottiene qualche buon risultato anche con il football, giocando da portiere. D’altronde chiunque abbia giocato a calcio sa che quello che indossa una maglia diversa da tutti con il numero uno sulle spalle e prende la palla con le mani di solito è uno un po’ fuori di testa. Secondo la madre di Hunt, inizia a fumare ad appena 10 anni, vizio che manterrà per tutta la vita. Si appassiona ai motori molto presto, a 17 anni appena compiuti prende la patente e, come ci dice Donaldson nella biografia dedicata al campione nel 2009, il giovane James afferma: “Adesso inizia davvero la mia vita”.

Una vita col piede sull’acceleratore

La sua carriera di pilota automobilistico inizia dai campionati inglesi di Mini, per poi continuare con la Formula Ford e approdare in Formula 3 a cavallo degli anni ’60 e ’70. In questo periodo incontra l’eccentrico miliardario Lord Alexander Hesketh, che lo vuole pilota per il suo team e che lo farà correre anche in Formula 1 nel 1973 e nel 1974. Nonostante Hunt non corra mai su vetture competitive per le prime posizioni, ottiene sempre ottimi risultati: nel 1975 Lord Hesketh inizia ad avere problemi finanziari dovuti alla sua scelta di correre senza “quegli orrendi adesivi di marche di sigarette” e quindi senza sponsor, e Hunt viene ingaggiato dalla McLaren. È in questi anni che la sfida con Lauda si fa più accesa, culminando nel campionato 1976, l’incidente di Lauda al Nurburgring, il ritorno miracoloso del pilota austriaco dopo appena 42 giorni e il clamoroso Gran premio del Giappone, che consegna ad Hunt il suo primo e unico titolo mondiale. La folle corsa del pilota inglese arriva al capolinea, al suo apice: Hunt dopo la vittoria del 1976 inizierà un lento declino, preso poi come esempio da Enzo Ferrari nel suo libro “Piloti, che gente!”, per descrivere la parabola sportiva di molti piloti automobilistici che una volta raggiunta la vittoria, logorati e allo stesso tempo appagati da quest’ultima, non affrontano più la pista come una volta, peggiorando le prestazioni e poi ritirandosi. Smette di correre nel 1979, per una decina d’anni fa il commentatore dei Gran Premi per la BBC, prima di morire nel 1993, ad appena 45 anni.

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