Nelson Piquet: esibizionismo, irriverenza e tre Mondiali F1

Nelson Piquet: esibizionismo, irriverenza e tre Mondiali F1

Tanti nemici e antipatie nel Circus e non solo, celebre la sua rivalità con il connazionale Ayrton Senna, leggendarie le imprese con Brabham e Williams

Redazione Edipress

17.08.2022 09:17

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Diventano un dettaglio, i tre titoli mondiali, quando si celebra un totem della storia della Formula Uno come Nelson Piquet, fresco settantenne. È chiaro come il nostro incipit contenga già una provocazione: Piquet si è laureato campione in tre ere diverse, per la spalmatura cronologica dei suoi allori iridati: 1981, primo Campionato mondiale vinto da un motore turbo, con la Brabham; 1983, ancora Brabham, ma dopo la rivoluzione regolamentare volta a contenere i rischi delle vetture dotate di minigonne e relativo effetto suolo; 1987, con la Williams, senza timore alcuno di confrontarsi con una generazione di piloti che annovera, tra gli altri, Ayrton Senna, molto più che una rivelazione già allora. Aggiungeremmo che il suo canto del cigno, in Formula Uno, nel 1991, avviene con l’arrembante scuderia della Benetton, dove Piquet deve convivere, tenendolo in un certo senso a battesimo, con un giovanotto di Nome Michael Schumacher.
Però, al di là delle corone, il pilota carioca (nato a Rio de Janeiro il 17 agosto 1952) ha segnato e contrassegnato il Circus iridato aggiungendo a un talento cristallino una personalità tanto spiccata quanto sui generis, irriverente e provocatoria; politicamente scorretta già allora, oggi scorrettissima.

L’uomo, come sappiamo, ancora fa parlare di sé. O, meglio, gode nel far parlare di sé. Con prese di posizioni pubbliche verso questo o quel pilota e con l’esibizione senza filtri di una sfilza di pregiudizi vari. Per esempio, nei confronti di Lewis Hamilton, in un solo video (dello scorso autunno, ma tornato in auge qualche settimana fa) è riuscito a esibire razzismo e omofobia, tra l’altro senza curarsi di quello che sarebbe apparso come un evidente conflitto d’interessi parentale, per così dire: sua figlia è fidanzata con Max Verstappen. La manifestazione di questo tipo di “opinioni”, però, non è un inedito e nemmeno un vezzo della fase anziana; Piquet già durante la carriera non si faceva problemi a esprimere le sue idee verso un collega (Nigel Mansell, per esempio) o riguardo quelli che a suo giudizio erano gli errori del team per il quale gareggiava. 

Nelson Piquet e la rivalità con Ayrton Senna

Tutto si può dire, del personaggio, ma non che gli difettasse la coerenza: un esempio lampante di questo discorso lo possiamo trarre dai suoi rapporti, di rivalità che sconfinava nell’odio reciproco, con Ayrton Senna. Entrambi brasiliani, Senna di San Paolo e Piquet di Rio, entrambi fuoriclasse, indiscutibilmente. Ma con una differenza che probabilmente Piquet ha sempre sofferto: lui è stato ammirato da generazioni intere di appassionati di automobilismo, come è ovvio; non è stato però mai considerato un vero e proprio idolo nazionale per il popolo brasiliano, anche perché in principio ha fatto poco per far trapelare il suo patriottismo. Senna, invece, lui stesso protagonista di uno sport elitario come la Formula Uno, ha mobilitato la passione di tutto il Brasile, a prescindere dagli strati sociali: dei baraccati delle favelas di ogni metropoli così come dei miliardari fricchettoni di Barra de Tijuca. Lo dimostrano, tragicamente ma con un impatto emotivo di proporzioni oceaniche, le immagini del funerale di Senna. Ecco, a quel funerale Piquet scelse di non presenziare, come se da parte sua il modo più decente di mostrare rispetto a un autentico e detestato “nemico” potesse essere soltanto quello di non presentarsi. Diversamente da tanti colleghi ed ex colleghi di Senna che vollero fare atto di presenza dopo averne detto peste e corna fino a quel tragico primo giorno di maggio del 1994.

Il Nelson Piquet pilota

Dietro l’uomo, che pilota c’era? Che sia da annoverare tra i fuoriclasse di ogni epoca, è fuor di dubbio; siamo al cospetto di un pilota che eccelleva in tutto senza evidenziare una dote che spiccasse sulle altre. Sapeva gestire un vantaggio con grande feeling nei confronti della vettura; al tempo stesso era in grado di effettuare un sorpasso epico come quello su Senna al Gran Premio d’Ungheria del 1986. È stato un campione capace di sintetizzare più di un’attitudine, Piquet; uno splendido ibrido che non faceva parte né dei superveloci che alzavano la soglia del rischio, né dei gelidi calcolatori alla Niki Lauda. Da quest’ultimo ha saputo certamente imparare molto, quasi quanto Alain Prost, circa la messa a punto della monoposto. Soltanto che il francese aveva più il fisico del ruolo per apparire come il prosecutore ideale di quella linea di piloti caratterizzati da una dedizione quasi robotica al mezzo, a differenza di Piquet, irriverente, donnaiolo e “zingaro”, come voleva il suo soprannome dell’epoca, motivato dal fatto che amava vivere in barca più che sulla terraferma. Di Lauda, per ammissione dello stesso austriaco, è stato il più fedele amico del Circus: fa riflettere, perché istituisce una linea di vicinanza caratteriale tra due che non hanno mai avuto problemi nel risultare sgradevoli. Piquet in modo più appariscente e guascone, Lauda con una più misurata e fredda essenzialità. Ma entrambi incapaci di apparire altro da quello che erano e che sarebbero stati anche una volta scesi dall’abitacolo. E a noi, che siamo qui per raccontare, visto che a giudicare poi saranno sempre i lettori, personaggi così piaceranno sempre, come fonte di ispirazione. Per quanto riguarda le loro idee, a volte prendere le distanze è persino obbligatorio, ma senza mai farci condizionare nel giudicare altri aspetti.

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