Agnelli e la Juventus, 100 volte una storia di famiglia

Agnelli e la Juventus, 100 volte una storia di famiglia

La dinastia torinese scelse la strada dello sport per raggiungere obiettivi non di aggregazione, ma sociali e politici: storia di una stirpe e due colori centenari

Paolo Marcacci/Edipress

24.07.2023 ( Aggiornata il 24.07.2023 08:01 )

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Un gruppo di studenti del Liceo classico “Massimo D’Azeglio” di Torino, con in testa l’idea di adoperare il calcio come volano di aggregazione e appartenenza, si fermavano a discutere animatamente sull’idea di avere una squadra tutta loro; solitamente quelle chiacchierate avvenivano lungo Corso Re Umberto, all’ombra dei filari di alberi vicino alla loro scuola. Siamo nel 1897.

La maglia della Juventus, la sua storia

Identificativa di una squadra, non soltanto in senso calcistico, è innanzitutto la divisa, in questo caso quella da gioco. All’epoca in cui la cravatta ancora corredava l’abbigliamento di molte discipline sportive, quei liceali torinesi optarono per una camicia rosa con cravatta nera. Come si arrivò, dunque, alle strisce verticali bianche e nere, adottate nel 1903? Non fu un caso fortuito, anche se per tanto tempo è stata raccontata la storia di una partita di maglie del Newcastle inviata per errore a Torino. La realtà è che a ogni lavaggio, pur accurato che fosse, quei ragazzi vedevano scolorire sempre di più il rosa già pallido delle divise. Chiesero allora a un loro compagno inglese, John Savage, di acquistare delle divise da gioco appena gli sarebbe stato possibile tornare in Inghilterra. Quando accadde, l’inglese acquistò la stessa muta adottata dal Notts County, il più antico club della prima divisione inglese, fondato nel 1862. Disposte verticalmente, le righe bianconere da allora diventarono la divisa ufficiale della Juventus.

Inizia la Juventus degli Agnelli

Dal 1923 la proprietà della squadra passò alla famiglia Agnelli. C’è un 24 luglio memorabile anche a Torino: per l’appunto quello di cento anni fa. È la data spartiacque della storia bianconera. Il giorno in cui il Cavaliere Edoardo Agnelli, dottore in legge, diventa Presidente della società, prendendo il testimone cedutogli da Gino Olivetti, che era stato l’undicesimo presidente juventino. Edoardo Agnelli, figlio del senatore Giovanni, il “padre” della Fiat assieme ad altri undici fondatori, nonché uno degli industriali pionieri che fecero nascere Confindustria. Edoardo, il primo rampollo degli Agnelli che prese in mano la Juventus, lo fece su consiglio della classe operaia e del proletariato cittadino, se vogliamo. A questo punto entra nella storia il difensore Antonio Bruna, di Vercelli, tesserato per la Juventus FC e al contempo operaio Fiat, che beneficia di un permesso per allenarsi con i bianconeri firmato dal senatore Agnelli: “Avvocato Edoardo, sarebbe un grande onore averla come presidente”. Trentunenne, il vicepresidente della Fiat e delle officine di Villar Perosa, da uomo di sport, appassionato di football e di competizioni motoristiche, si mette alla guida di quella che con il tempo, le vittorie accumulate e il blasone dei tanti campioni che ne avrebbero vestito la maglia, sarebbe diventata la “Vecchia Signora” del calcio italiano.

Juventus, lo spirito del tempo

Edoardo assume quel ruolo con uno spirito innovatore suggerito dall’esempio d’oltreoceano fornito da Henry Ford; vuole coinvolgere gli uomini che lavorano per lui, renderli compartecipi dei destini dell’azienda, o in questo caso della società sportiva. Sul piano strettamente calcistico, capisce che il mondo del pallone nel Belpaese ha bisogno di guardare all’esempio dei maestri d’Oltremanica, di uscire quindi dal romantico dilettantismo e di puntare a un’organizzazione professionistica e di conseguenza a un ordinamento professionale. Per cominciare, un nuovo stadio, quello di Corso Marsiglia, e poi come guida tecnica un sergente di ferro proveniente dalla più nobile scuola calcistica dell’epoca, quella ungherese: Jenò Karoly. L’allenatore magiaro porta in dote a Torino il fuoriclasse Ferenc Hirzer, il capitano dell’Ungheria. Tutti gli osservatori del Presidente che battono in lungo e in largo il Sudamerica scovano poi per la “Juve” dei pezzi pregiati, inteso come fuoriclasse, che arrivano a vestire la maglia bianconera: gli oriundi Orsi, Monti, Cesarini che diventano compagni di squadra di campioni autoctoni come Combi, Rosetta, Calligaris e Munerati. Una Juventus che resta ancora oggi tra le più memorabili, capace di conquistare cinque titoli nazionali di fila nel “lustro d’oro” 1930 - 1935 (solo la Juve del terzo millennio, sotto la presidenza di Andrea Agnelli, ha fatto meglio, con nove titoli consecutivi). Questa è anche l’epoca in cui si afferma il leggendario “stile Juventus” della Fidanzata d’Italia, descritto con la giusta enfasi dalle edizioni del Guerin Sportivo dell’epoca: “Sempre uguali i dirigenti, sempre fedeli i soci, sempre uniti i giocatori, mai troppo lodati, mai troppo rimproverati, in quest'ambiente vi è una cosa: l'educazione non solo sportiva, ma anche sociale”.

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