Paolo Maldini, il capitano col pugno di ferro in un guanto di velluto

Paolo Maldini, il capitano col pugno di ferro in un guanto di velluto

In venticinque anni di carriera è sempre stato un esempio positivo, mostrando doti di equilibrio caratteriale che si riflettevano anche nel suo modo di giocare

Paolo Valenti/Edipress

26.06.2023 08:01

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Da giovanissimo Paolo Maldini era uno dei calciatori che facevano parte della categoria di quelli che oggi si chiamano predestinati. In lui niente era disallineato rispetto a questa classificazione che in pochi hanno il privilegio (e l’onere) di vedersi riconoscere quando, ancora acerbi, lasciano intuire i barlumi di un talento superiore. Anche il nome di famiglia aumentava ulteriormente il peso delle aspettative insite nelle doti che la natura aveva generosamente elargito a Paolo, figlio di quel Cesare che nel 1963 aveva sollevato a Wembley la prima Coppa dei Campioni vinta dal Milan.

?Paolo Maldini e l’esordio a sedici anni

Un predestinato, si diceva. Già, perché quando si esordisce in Serie A a soli sedici anni e a volerti mettere in campo è un allenatore che si chiama Nils Liedholm, il futuro sembra una strada inevitabilmente indirizzata verso il successo. In quella fredda domenica di gennaio del 1985 del Maldini che calcherà i campi di tutto il mondo per altri ventiquattro anni c’è già tutto: il ruolo di terzino (in quella partita giocata a Udine chiese di essere schierato a destra per facilitare l’approccio col suo piede naturale), la tecnica di base, la capacità di controllare le emozioni. Da quel momento Paolo rappresenterà un costante elogio dell’equilibrio: già maturo quand’era ancora minorenne, sembrerà ancora un ragazzo quando abbandonerà il campo alla soglia dei quarantuno anni, costretto al ritiro solo dal logorio di un fisico che gli aveva consentito di giocare 902 partite con la maglia rossonera e 126 in Nazionale. Un gigante col pugno di ferro avvolto in un guanto di velluto, capace di piegare al suo volere pallone e avversari in primo luogo con i fondamentali e, all’occorrenza, grazie a una prestanza strutturale fuori dal comune. ?

Paolo Maldini capitano dopo Baresi

Tecnica e agonismo, forza e velocità, marcatura a zona nel Milan e a uomo in Nazionale quando la guidava il padre Cesare. Pianure di silenzi interrotti, se necessario, da poche, incisive parole, estrema ratio di un linguaggio che si sostanziava soprattutto di sguardi, censori o di sostegno in relazione alla contingenza. Questo è stato Paolo Maldini, cresciuto negli allenamenti al fianco di un altro monumento del Milan e dell’Italia, quel Franco Baresi che, per naturale successione, gli consegnerà la fascia di capitano al momento del ritiro. Una fascia che Maldini onorò come meglio non si poteva, conferendole un valore simbolico reso evidente non solo all’osservazione del pubblico ma anche all’interno dello spogliatoio. Al termine di ogni partita, infatti, il primo gesto che faceva il capitano era quello di riporla sopra il suo armadietto, prima di andare a stringere la mano ai compagni per ringraziarli della loro prestazione. Un rituale dal sapore antico, sacrale, simile a quello dei parroci che la domenica, ultimata la celebrazione, ripongono con cura rispettosa la stola appena utilizzata. Un atto ripetuto che, nella sua semplicità accompagnata dal silenzio, faceva sembrare quella fascia una sorta di tabernacolo nel quale sono racchiusi i valori che fanno di un calciatore il capitano di una squadra.

Le maniere forti di Paolo Maldini

Maldini è stato un sacerdote del calcio di cui custodiva le regole e le faceva rispettare, se serviva ricorrendo anche ai modi autoritari. Come avvenne in un Milan-Juventus della stagione 2008-09, l’ultima prima del ritiro, quando Paolo prese per il collo Chiellini. Un gesto per lui inusuale, spiegato di recente proprio dall’ex numero tre rossonero: ”Mi aveva dato una gomitata. Io mi ero rotto il naso già tre volte e sinceramente non avevo voglia di far la quarta. Mi sono incazzato? Sì”. Rispetto ma anche maniere forti quando necessario, utilizzate per rafforzare proprio il richiamo all’osservanza di quei valori positivi ai quali Maldini ha sempre scelto di aderire. Pure per questo, nel corso degli anni, ha avuto un rapporto conflittuale con le frange più estreme del tifo, alle quali non ha mai concesso adulazione gratuita. Atteggiamento che gli costò, nel giorno del saluto a San Siro il 24 maggio 2009, la contestazione di una minoranza di ultrà ai quali rispose con un applauso che sapeva di sarcasmo e riprovazione. Pugno di ferro in un guanto di velluto, come si conviene a un capitano che indossa la fascia come un paramento sacro.

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