In memoria di Ray Wilkins, campione fragile per sempre milanista

In memoria di Ray Wilkins, campione fragile per sempre milanista

A cinque anni dalla sua scomparsa, ripercorriamo la storia del centrocampista inglese, che stregò anche Nils Liedholm

Marco Netri/Edipress

04.04.2023 ( Aggiornata il 04.04.2023 13:52 )

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Raymond Colin Wilkins, per tutti Ray, fu uno dei più forti centrocampisti inglesi a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Bandiera del Chelsea, del Manchester United e della Nazionale dei Tre Leoni, approdò in Italia per giocare nel Milan, dove lascerà un segno indelebile tanto sul terreno di gioco, quanto fuori. Un campione stimato e apprezzato, ma anche profondamente fragile, che una volta appesi gli scarpini al chiodo finì per essere vittima dei suoi fantasmi. Il soprannome di Ray era Razor, rasoio, coniato per richiamare la caratteristica dei suoi lanci lunghi, precisi, tesi e taglienti, che calibrava con il collo del piede, all’epoca particolarmente raro. Più in generale, però, le qualità di Wilkins erano quelle di un centrocampista che fa innamorare il proprio allenatore, per l'intelligenza tattica fuori dal comune. Nella sua esperienza in rossonero, il Barone Liedholm ne rimase stregato, ripetendo spesso: “Con Wilkins in campo a volte sembra di giocare in 12”.

Ray Wilkins, una carriera infinita

Debuttò nel ‘73 a soli 17 anni e chiuse con il calcio giocato nel ’97 a 40 anni compiuti, una carriera infinita durata oltre due decadi. È il Chelsea a farlo subito esordire in First Division. Dopo un paio di stagioni, però, i Blues retrocedono in Second Division e molti giocatori decidono di andare via, non il giovane Ray, che sceglie di restare, un gesto premiato senza indugio dal mister McCreadie che lo insignisce dei gradi di capitano nonostante avesse appena 19 anni. Resta in Blues fino al 1979, quando il Manchester United decide di puntare su di lui e Ray non tradisce le attese, diventando il faro anche dei Red Devils. Di lui George Best disse: "Fosse arrivato a Old Trafford dieci anni prima, sarebbe stato conosciuto come uno dei calciatori più intelligenti al mondo".

Il triennio al Milan

Nel 1984-85 Wilkins sbarca in Serie A, il presidente del Milan, Giusy Farina, lo regala a Nils Liedholm, che gli consegna subito le chiavi del centrocampo. Giocherà due stagioni di buon livello, mentre nella terza, quella dell'arrivo alla presidenza di Silvio Berlusconi, troverà progressivamente meno spazio, salutando a fine stagione dopo un triennio nel quale lascia un ottimo ricordo a compagni di squadra e tifosi. Continuerà a giocare ancora per 10 anni.

La depressione, l’alcolismo e la triste parabola

Dopo una carriera così lunga e intensa, il distacco dal campo è devastante. A dispetto della faccia da duro e della propensione da leader, Wilkins soffriva già da giovanissimo di problemi di insicurezza e l’addio al calcio gli procura un senso di vuoto opprimente, che lo porta a rifugiarsi nell’alcol. Tenta di restare a galla dedicandosi alla carriera da allenatore, che poi si rivelerà in realtà da vice, diventando tra gli altri il braccio destro di Gianluca Vialli, Guus Hiddink e Carlo Ancelotti. Lotta contro la depressione e le sue dipendenze, ma ormai la situazione è compromessa e un attacco di cuore lo porta via il 4 aprile del 2018. Il “suo” Milan lo ricorderà in maniera solenne, giocando con il lutto al braccio e omaggiandolo del minuto di silenzio, lo storico capitan Franco Baresi depositerà un mazzo di fiori e la sua mitica “numero 8” sotto la Sud, salutandolo, commosso: “È stato un onore averti avuto come compagno, eri speciale, un signore in campo e fuori. Grazie Ray Wilkins RIP”.

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