Monaco '72: 50 anni dal massacro alle Olimpiadi

Monaco '72: 50 anni dal massacro alle Olimpiadi

Un’organizzazione terroristica palestinese sulla cui natura politica ancora si dibatte, “Settembre Nero”, in quei giorni irruppe nella placida città tedesca marchiando col sangue la bandiera olimpica che lì sventolava dal 26 agosto

Francesca Lezzi/Edipress

05.09.2022 10:20

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Con i Giochi del ‘72 la Germania voleva cancellare il ricordo di quelli “nazisti” del ‘36: ora era un Paese democratico, teatro di una guerra pacifica fra popoli. L’ombra del passato aleggiava però ancora così tanto che le misure di sicurezza furono volutamente assai scarne.

In realtà una guerra era in corso, anche se fredda. Si infiammò nella finale di basket: tra scontri e proteste, l’URSS interruppe la striscia di 63 vittorie degli Stati Uniti alle Olimpiadi inaugurata proprio a Berlino ‘36.

Ma tra il 5 ed il 6 settembre alla Germania sembrò di ripiombare in un incubo. Una partita terribile che fece vittime di eventi molto più grandi dei loro uomini di sport: uccisi dal conflitto israelo-palestinese in terra tedesca.

Tutto ebbe inizio al Villaggio olimpico sulla Connollystraße.

Nell’edificio 31 riposavano gli israeliani: i pesisti David Berger, Ze’ev Friedman e Yossef Romano; Yossef Gutfreund, arbitro di lotta greco-romana; i lottatori Eliezer Halfin e Mark Slavin; l’allenatore di atletica leggera Amitzur Shapira e quello di lotta greco-romana Moshe Weinberg; André Spitzer, maestro di scherma; Kehat Shorr, tecnico del tiro a segno; Yakov Springer, giudice di sollevamento pesi. Molti erano emigrati in Israele dai Paesi d’origine ed avevano già visto la Storia: Friedman, Shorr e Springer vivendo la Shoah e Romano combattendo la Guerra dei Sei giorni.

Verso le 3:30 del 5 settembre si mossero gli uomini di Settembre Nero: il capo Luttif Afif detto Issa, col volto coperto da lucido per scarpe, occhiali da sole e un cappellino bianco; Yusuf Nazzal conosciuto come Tony con un cappello da cowboy; Paolo ossia Afif Ahmad Hamid; Khalid Jawad noto come Salah; Ahmad Shiq Taha detto Abu Halla; Mohammed Safadi “Badran”, Adnan al-Gashei “Denawi” e Jamal al-Gashei “Samir”.

Issa e Tony conoscevano il Villaggio olimpico per averci lavorato durante la costruzione. Avevano l’ordine di non uccidere gli israeliani per scambiarli con altri prigionieri ed usare armi e bombe a mano solo per difendersi, far pressione sulle autorità o in casi estremi.

Segue ora il racconto di un disastro. Crudele e totale.

Con borsoni coi cerchi olimpici pieni di armi, bombe a mano, caricatori, calze di nylon, corde e anfetamine per evitare colpi di sonno, il commando si avvicinò alla recinzione del Villaggio. Alcuni atleti li aiutarono ad accedere scambiandoli per colleghi.

All’atto di entrare nell’alloggio svegliarono Gutfreund: appena vide le canne dei fucili si gettò di peso contro la porta urlando agli altri di mettersi al riparo. La sua prontezza aiutò il compagno di stanza Sokolovski a fuggire dalla finestra. Buttato a terra Gutfreund, i terroristi penetrarono dirigendosi nella stanza di Shapira e Shorr. In quella adiacente, Weinberg si avventò con un coltello su Issa che schivò il colpo: un altro terrorista gli sparò ferendolo. Qui furono catturati anche Springer e Spitzer.

Alcuni sequestratori si recarono poi all’alloggio di pesisti e lottatori assieme a Weinberg: fu lui a “guidarli” proprio lì con l’intento di tentare una sortita considerata la loro forza?

Essi, già svegliati dal colpo esploso, stavano accorrendo: così furono presi Berger, Romano, Slavin, Friedman e Halfin. Mentre li conducevano dai compagni, Berger incitò in ebraico gli altri a tentare di sopraffare i terroristi ma uno, avendolo capito, gli spianò contro il fucile.

Tra questi c’era anche Gad Tsobari che tentò la fuga. Un terrorista cercò di colpirlo mancandolo. Nella concitazione Weinberg atterrò Badran con un pugno, riuscì ad afferrare il suo fucile ma nella lotta che seguì fu ucciso da un colpo al petto.

Quando il commando si riunì la stessa sorte toccò a Romano. Pare avesse tentato di disarmare un sequestratore: forse fu ucciso all’istante da una raffica di mitra o ferito e poi torturato a morte. Il suo corpo, posto di fronte ai prigionieri, era un monito.

Intanto Tsobari aveva raggiunto una troupe della ABC. Provò a spiegare cosa stava accadendo ma il suo inglese latente lo tradì: vedendolo trafelato, con solo dei pantaloni e un accento straniero, tutti pensarono ad uno scherzo.

L’allarme scattò alle 4:47 quando una donna che aveva udito i colpi telefonò all’Ufficio Olimpico per la Sicurezza.

L’inviato sul posto ricevette una risposta muta ma inequivocabile: il cadavere di Weinberg buttato in strada.

Alle 5:08 due fogli volarono dal primo piano. La richiesta: liberare 234 palestinesi reclusi in Israele e i terroristi della Rote Armee Fraktion Andreas Baader e Ulrike Meinhof, detenuti in Germania entro le 9, altrimenti un ostaggio sarebbe morto per ogni ora di ritardo e il cadavere gettato in strada.

Entrò in scena l’Unità di crisi con il capo della Polizia di Monaco, Manfred Schreiber, e i Ministri degli Interni federale e della Baviera. Contattata dal Cancelliere tedesco Willy Brandt, il Primo Ministro d’Israele Golda Meir fu fermissima: nessuna cessione al ricatto. Bisognava guadagnare tempo: i terroristi estesero l’ultimatum alle 12, poi alle 15 e alle 17 consapevoli di godere di una visibilità formidabile fornita dall’audience televisiva destinata a salire.

Verso le 16 si pensò un blitz: degli agenti dovevano introdursi nell’alloggio dai condotti di ventilazione sul tetto. Ma l’intera operazione fu ripresa in diretta dalla TV che subito era piombata sul posto decretandone l’inevitabile annullamento: infatti i terroristi, incollati allo schermo, minacciarono di uccidere gli ostaggi all'istante.

Poco prima delle 17 una nuova istanza: essere trasferiti con i rapiti al Cairo e da lì proseguire i negoziati. Le Autorità chiesero di potersi prima sincerare dello stato degli ostaggi. Mentre un terrorista li teneva sotto tiro, Shorr e Spitzer si sporsero alla finestra; chi entrò nell’edificio vide il cadavere di Romano, Berger ferito e le percosse su molti rapiti.

Issa intimò di agire entro le 21, rinnovando la minaccia di eliminare un israeliano per ogni ora di ritardo.

Fu proposto al commando di raggiungere la base aerea militare di Fürstenfeldbruck in elicottero con gli ostaggi: lì avrebbero trovato l’aereo per Il Cairo. L’intenzione dell’Unità di crisi era ucciderli mentre si dirigevano verso gli elicotteri oppure compiere un’azione all’aeroporto. Nell’aereo c’erano agenti della Polizia travestiti con uniformi di volo. Tra la pista e la torre di controllo 5 agenti dovevano sparare ai terroristi. A supporto era previsto l’utilizzo di blindati e di un’altra squadra che sarebbe giunta dopo.

Alle 22:10 terroristi e ostaggi salirono sugli elicotteri. Solo allora le Autorità si accorsero che i rapitori erano 8 e non 5, come creduto sino ad allora.

Prima che gli elicotteri atterrassero, i poliziotti nell’aereo all’unanimità decisero di annullare l’azione considerando uno scontro a fuoco in quelle condizioni fatale; inoltre le false uniformi non fornivano una valida copertura. Quindi uscirono dall’aereo.

Ogni speranza era riposta negli agenti in pista: equipaggiati con fucili da guerra ma senza elmetti, giubbotti antiproiettile e ricetrasmittenti, non sapevano dove fossero i colleghi e nessuno era un tiratore di precisione addestrato.

Verso le 22:30 giunsero gli elicotteri. Già insospettiti dai ritardi, Issa e Tony si recarono a ispezionare l’aereo.

Appena lo videro vuoto compresero la trappola e corsero indietro. Erano circa le 23: le luci posizionate per illuminare a giorno l’area si accesero e gli agenti, ricevuto l’ordine, aprirono il fuoco.

Issa corse a zig zag per schivare i colpi. Tony fu ferito. Subito furono uccisi Paolo e Abu Halla. I terroristi superstiti presero di mira i fari, riparandosi dietro e sotto gli elicotteri. In questo frangente fu colpito mortalmente l’agente Anton Fliegerbauer. Lo scontro durò circa un’ora.

Gli ostaggi, rimasti legati all’interno dei velivoli, provarono a liberarsi mordendo le corde.

I rinforzi non entrarono mai in azione perché l’elicottero atterrò a più di un chilometro di distanza ed il traffico ritardò i mezzi corazzati che arrivarono solo verso la mezzanotte: l’area adiacente e le vie per l’aeroporto erano assediate da giornalisti e curiosi.

Al megafono si intimò ai terroristi di arrendersi ma questi risposero sparando: non si negoziava più.

Ormai persi, presero l’estrema decisione. Alle 00:04 uccisero Friedman, Halfin, Springer mentre Berger fu ferito; un terrorista poi lanciò una bomba a mano che avvolse tra le fiamme il velivolo. Issa e Salah corsero via dall’elicottero, sparando agli agenti, e furono freddati. Un agente nel mirino dei colleghi, scambiato per terrorista, fu ferito.

Cosa avvenne sull’altro mezzo è dubbio: pare che subito dopo l’esplosione, furono uccisi Gutfreund, Shapira, Shorr, Slavin e Spitzer. Samir e Badran, feriti, si finsero morti; furono catturati dalla Polizia come Denawi, illeso. Tony, nascostosi lì vicino e localizzato dai cani, morì dopo una breve sparatoria.

All’1:30 del 6 settembre era tutto finito.

Un comunicato aveva annunciato la liberazione degli ostaggi. Alle 3:45 la verità: tutti morti.

L’Olimpiade finì quel giorno anche per la star dei Giochi: l’ebreo americano Mark Spitz fu rimpatriato nel timore che potesse essere un obiettivo terroristico coi suoi 7 ori vinti in altrettante gare in soli 8 giorni battendo ogni record.

Dopo il giorno di stop, deciso su pressione dell’opinione pubblica malgrado il no del Presidente del CIO Avery Brundage, le Olimpiadi ripresero: solo una cerimonia allo Stadio per commemorare i morti (in quell’occasione la cugina di Weinberg morì colta da un malore). Il CIO propose di mettere le bandiere a mezz’asta: lo fecero tutti tranne gli Stati arabi e i Sovietici.

La delegazione israeliana lasciò Monaco portando via i compatrioti in bare avvolte dalla bandiera.

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