Da Eriberto a Luciano: storia di un furto d'identità calcistica

Da Eriberto a Luciano: storia di un furto d'identità calcistica

Il 21 agosto del 2002 la confessione del brasiliano che sconvolse la Serie A. L'esterno del Chievo aveva dichiarato un'età anagrafica inferiore di 3 anni e 49 giorni

Marco Gambaudo/Edipress

21.08.2022 10:20

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Siamo nel villaggio di Artigat, nel sudovest dei Pirenei francesi, nell’estate del 1557. Si presenta un uomo che sostiene di essere Martin Guerre, scomparso nel nulla nove anni prima lasciando la moglie Bertrande de Rols ed un figlio. L’uomo convince tutti di essere proprio Martin: gli abitanti del villaggio, lo zio Pierre, le quattro sorelle e soprattutto sua moglie. Per tre anni vive tranquillamente con lei ed insieme hanno due figli (uno solo sopravvive), fino a quando non si deve discutere dell’eredità del padre. Lo zio, sospettoso quasi da subito, dopo un’indagine più approfondita lo denuncia ed inizia un processo alla fine del quale, nonostante testimonianze discordanti, viene condannato a morte. Martin fa appello al tribunale di Tolosa e la sua parola sta per convincere i giudici che lo credono vittima dell’avido zio, quando compare un uomo con una gamba di legno durante il processo, sostenendo di essere lui il vero Martin Guerre! Che rompicapo per i giudici! Ma anche alla fine dell’appello viene confermata la condanna a morte per adulterio e frode. Solo dopo la sentenza l’uomo confessa di essere Arnaud du Tilh. Aveva imparato tutto sulla vita di Martin da due uomini che lo avevano scambiato per lui e così ne aveva preso il posto. Nel frattempo il Martin vero si era arruolato nell’esercito spagnolo e durante la battaglia di San Quintino (10 agosto 1557) viene ferito e subisce l’amputazione di una gamba. Vive gli anni seguenti in un monastero e poi decide di tornare dalla sua famiglia. La storia finisce con l’impiccagione di Arnaud davanti a casa di Martin, dopo solenni scuse a tutti ed a Bertrande in primis.

L'arrivo in Italia e il "miracolo Chievo"

Siamo a Bologna, in Italia, nell’estate del 1998. Atterra un promettente calciatore diciannovenne di nome Eriberto Conceicao da Silva, ruolo esterno di centrocampo con tanta gamba e piedi così così per essere brasiliano, ma Oreste Cinquini lo paga 5 miliardi di lire al Palmeiras, ci crede in quel ragazzo di non ancora vent’anni. Al Bologna gioca due stagioni, molto buona la prima con Mazzone, un po’ meno la seconda con Buso e Guidolin. I felsinei ricordano le sue sgroppate in fascia così come i gol incredibilmente sbagliati ed i viali cittadini imboccati contromano di notte, con un tasso alcolemico non propriamente da atleta. Ed allora è meglio cambiare aria. A 21 anni è preferibile giocare titolare in serie B, magari in una società ambiziosa e senza pressioni con un allenatore, Luigi Delneri, che oggi i mass media definirebbero “visionario” (abusata ed impropria definizione appioppata ad ogni neo-miliardario da hi-tech).

Ed inizia la saga del “miracolo Chievo” che sale in A per la prima volta nella sua storia ed arriva subito quinto ad un punto dalla zona Champions, dovendo molto alla coppia di esterni Eriberto – Manfredini, le “frecce nere” clivensi. Per di più i cugini dell’Hellas, quelli dello striscione “Quando i mussi volera’ faremo el derby in serie A”, chiudono in zona retrocessione ed il Chievo diventa la prima squadra di Verona.

Da Eriberto a Luciano: la "confessione"

Nell’estate del 2002 la Lazio di Cragnotti offre a Campedelli, il presidente gialloblù, 18 milioni di euro per assicurarsi le prestazioni sportive (quelle automobilistiche sembrano alle spalle) del ventitreenne carioca. E' tutto fatto, ma improvvisamente il ragazzo sparisce e torna in Brasile. Il mistero ingolosisce i giornalisti italici che si sprecano in titoloni che ora si definirebbero “clickbait”, invocando drammi personali e quant’altro. Ma il dramma è tutto interno al giovane calciatore che non riesce più a tenersi dentro un segreto che porta avanti da troppi anni: non si chiama Eriberto ma Luciano Siqueira de Oliveira, non è nato il 21 gennaio 1979 ma il 3 dicembre 1975, tre anni e quarantanove giorni prima. Inizia tutto nel 1996, quando un faccendiere di Rio de Janeiro gli propone un cambio di identità e di età anagrafica per provare a farlo ingaggiare da una squadra professionistica. Il 21enne Luciano si ritrova così ad essere il 17enne Eriberto, rubando l’identità ad un ignaro contadino. Lui accetta perché è povero, ha perso la mamma a 6 anni ed il padre non molto dopo. Per vivere lavora in fabbrica ed in un supermercato, ma continuando a sognare grandi palcoscenici. E, grazie alle lancette tirate indietro dell’orologio biologico, è il Palmeiras che lo ingaggia, in cui gioca i suoi primi due anni da professionista con Felipe Scolari ad allenarlo. E' da lì che spicca il volo per Bologna.

La “confessione” - esattamente vent’anni fa, il 21 agosto 2002 - scuote il mondo del calcio italiano e solleva il coperchio del vaso di Pandora dei documenti falsi di giovani calciatori extracomunitari, vittime di avidi personaggi sia italiani che non, i quali non si fanno scrupoli nel portare avanti torbidi inganni e falsificazioni. Raggiri che in quegli anni sono la norma ed interessano il mondo professionistico come quello dilettantistico. Personalmente ricordo l’arresto, proprio in quel periodo, di due dirigenti di una squadra del torinese per favoreggiamento all’immigrazione clandestina, falsificazione di passaporti e via discorrendo, con lo scopo di far sbarcare in Italia giovani promesse (o presunte tali) da rivendere poi ai settori giovanili di società professionistiche.

La carriera di Luciano dopo Eriberto

Ma torniamo al racconto ed andiamo all’autunno 2002. In Italia esce la nuova edizione dell’album di figurine Panini ed Eriberto, pardon, Luciano, non si trova tra i mezzibusti della Lazio, non lo si trova nemmeno tra quelli del Chievo Verona. E' stato squalificato per un anno, pena poi ridotta a sei mesi, e verrà inserito tra gli acquisti del mercato invernale dalla famosa azienda modenese. Ma l’essersi liberato di quel peso lo riporta a volare sulla sua fascia, dove colleziona altre 16 presenze ed una rete, rendendosi nuovamente appetibile per una “grande”. E' l’Inter che se lo aggiudica, ma cambio d’allenatore (da Cuper a Zaccheroni) e di modulo (dal 4-4-2 al 3-5-2) gli chiudono le porte del campo, stabilmente occupato dall’intoccabile Javier Zanetti (bilancio presenze: 5 in campionato e 2 in Coppa Italia).

Così a gennaio ritorna al Chievo dove disputa ancora ben nove stagioni, chiudendo sostanzialmente la carriera nel 2013 a 37 anni (reali), con 266 presenze in serie A (delle quali 226 con i clivensi), 30 in Coppa Italia e 13 nelle coppe europee. Oggi Luciano è tornato in Brasile dove, dopo qualche tentativo da allenatore (comprese le giovanili del Chievo), si dedica più alle mezze maratone che al calcio, almeno stando alle sue ultime interviste.

Ed il contadino, il vero Eriberto? Le cronache narrano del tentativo di spillare qualche soldo intentando una causa per danni morali, pare comunque andato a vuoto. Giustizia (sportiva) è fatta, ed uno dei più clamorosi furti d’identità calcistica passa alla storia, più o meno come il caso di Martin Guerre che ha ispirato svariati libri e, come potrebbero ricordare i cinefili, il film Il ritorno di Martin Guerre (1983) con Gerard Depardieu. Questo famoso (almeno in certi ambienti) episodio svoltosi quasi 500 anni fa ci ricorda che è una pratica vecchia come l’umanità e nei secoli ha colpito ogni ambito, calcio ovviamente incluso. Che poi, a ben pensarci, alla fine a Luciano non ha fatto che del bene, portandolo a coronare il sogno di miliardi di ragazzini e strappandolo alla miseria. Certamente il lato oscuro della vicenda è: quanti come lui saranno stati usati per scopi poco nobili? E soprattutto, è una pratica da ascriversi solamente a tempi più o meno remoti? Si direbbe proprio di no, se si pensa al recente caso di Silas Katompa Mvumpa dello Stoccarda, fino all’estate 2021 noto con il nome di Silas Wamangituka e di un anno più giovane. Storia molto simile a quella dell’ex-Chievo finita con la sua riabilitazione ed il suo primo gol con il suo vero nome durante la seconda giornata di Bundesliga con il suo Stoccarda, pochi giorni fa. Forse anche lui, come Luciano, non poteva accettare che suo figlio (o sua figlia) nascesse con un cognome falso.

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