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Hector Cuper rimarrà per sempre nella storia come un perdente, anche se di lusso. Due finali di Champions League e uno scudetto come punti "più alti", ma in realtà per quasi un decennio l'argentino è stato uno degli allenatori più ricercati in Europa. Il suo capolavoro è stato il Valencia, ma anche l'Inter è tornata a sfiorare la vittoria in Serie A proprio grazie a lui, arrivando a 90 minuti dal trionfo.

Nato il 16 novembre 1955 a Chabàs, nella zona di Santa Fé, da giocatore Cuper è un rognoso difensore del Ferrocarril Oeste, soprattutto: quasi 500 presenze per lui con "El Verde", in due spezzoni diversi, e anche qualche chiamata nella nazionale argentina. La scelta di diventare calciatore è quasi una necessità, dopo un'infanzia durissima fatta di tragedie familiari, come le morti precoci del padre camionista in un incidente stradale e della madre di parto. Deve persino mollare la scuola a nove anni, per aiutare in casa dove possibile, per il resto ci sono tanta miseria e bagni senza acqua calda, cresciuto da una nonna che non va tanto per il sottile. Spostarsi in una Buenos Aires immensa in quanto a opzioni sportive è l'ancora di salvezza. Ecco dunque il Ferrocarril Oeste, un club che rimanda alle ferrovie e al lavoro duro, e poi l'Huracàn, prima squadra di cui Cuper diventa allenatore. Nel frattempo, a trent'anni, è riuscito quantomeno a finire la scuola media, rimettendosi a studiare con ragazzini decisamente più giovani di lui.

Con quei lineamenti da indio, l'aspetto da duro, il cognome originario che in realtà sarebbe Cooper come il grande attore western (il bisnonno si chiamava così e si era sposato con un'aborigena), Hector non passa inosservato. Fuma in panchina, veste spartano, ha idee chiare sul "futbol". Dall'Huracàn va al Lanus dopo aver sfiorato la vittoria in un campionato di Clausura, ma è nel 1997 che Cuper sbarca in Europa. Lo sceglie il Maiorca, che immediatamente vola fino alla finale di Coppa del Re, persa contro il Barcellona. Quella però è ancora epoca di Coppa delle Coppe, così se il Barça può andare in Champions, il posto per l'altra competizione si libera e viene occupata dai "Bermellones", che arriva fino alla finale del torneo successivo. Maggio 1999, a Birmingham il Maiorca perde solo 2-1 contro la Lazio di Vieri, Nedved e compagnia, forse la più forte di sempre. Lanciando gente come il fantasista Ibagaza o il roccioso Lauren. A quel punto non si può più nascondere e arriva il Valencia, innamorato evidentemente di quel 4-4-2 a rombo dal grande ritmo impresso alle partite. Non a caso forse va meglio in Europa che in Spagna, tanto che per due anni consecutivi addirittura i valenciani arrivano in finale di Champions League: nel 2000 perde contro il Real Madrid, sornione e abile in contropiede, nel 2001 a San Siro prevale ai rigori il Bayern Monaco. Sta di fatto che quel Valencia fa scuola e diventa un mercato da saccheggiare. C'è anche un tocco "italiano", con i due terzini sinistri Carboni e Angloma (francese ma per tanti anni in Serie A). Le stelle solo i centrocampisti Mendieta, Gerard e Farinos, a sinistra ringhia Kily Gonzalez, davanti si alternano Vlahovic (ex Padova), Ilie, il gigante Carew o il piccolo Juan Sanchez. In tempi diversi andranno via tutti, pagati a peso d'oro.

Alcuni proprio alla nuova squadra di Cuper, che diventa l'Inter. Il pubblico nostrano prende confidenza coi riti del tecnico argentino, la pacca sul petto a ognuno dei titolari prima di entrare in campo, il 4-4-2 che rimane con attaccanti eccezionali come Ronaldo e Vieri, alcuni giocatori che però faticano a rimanere incasellati in quello schema e vengono adattati, tipo Recoba. Tuttavia fino al 5 maggio 2002 l'Inter è prima in classifica, prima di crollare 4-2 all'Olimpico contro la Lazio perdendo così lo scudetto. La cessione di Ronaldo in estate dopo screzi con Cuper è l'inizio della sua parabola discendente, anche se l'Inter si arrampica di nuovo fino alle semifinali di Champions League, eliminata dopo due pareggi dal Milan. L'argentino viene confermato di malavoglia e nella stagione successiva arriva l'inevitabile esonero. Di fatto la sua carriera ad alto livello finisce lì. Inizia a girare il mondo, subentrando o finendo esonerato, passa anche dalla panchina del Parma ma come picco dobbiamo rimarcare senza dubbio la qualificazione dell'Egitto ai Mondiali nel 2018.
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