L'identità inconfondibile di Giovanni Galeone

L'identità inconfondibile di Giovanni Galeone

Ha disegnato e insegnato calcio, istruito calciatori e formato i tecnici di oggi, come Allegri e Gasperini. Un addio doloroso e partecipato
  • Link copiato

"Sigarette mai spente sulla radio che parla, io che guido seguendo le luci dell'alba...": sarà per mera coincidenza che ci vengono in mente questi versi cantati da Antonello Venditti mentre la pagina vuole accogliere parole che possano celebrare la memoria di Giovanni Galeone?

 

 

 

 

Ha detto qualcuno che le coincidenze in realtà non esistono, perché altrimenti poche ore dopo la scomparsa del loro mister non si sarebbero affrontate sul terreno di San Siro le squadre di Massimiliano Allegri e di Gian Piero Gasperini, due dei suoi prediletti figli calcistici. Sigarette più che altro lasciate a metà, la radio che trasmetteva un calcio attraversato dall'identità inconfondibile delle sue squadre, le luci dell'alba come metafora dell'attitudine a ricominciare volta dopo volta da qualche parte, con le sue idee e con un gruppo di giocatori da fidelizzare. O, anche, quelle albe raggiunte mescolando al vino racconti di calcio e di vita, smarrendo volutamente la linea di confine tra l'uno e l'altra, in un bar di Udine come in uno di Pescara.

 

 

 

 

Identità ed eredità calcistica

Non era uno che anteponeva il gioco al risultato, non del tutto almeno: pensava che l'identità delle sue squadre coinvolgesse i suoi calciatori a fare di tutto per raggiungere la migliore versione si loro stessi, con le imperfezioni individuali sublimate dall'intensità del gruppo; con l'orgoglio di chi aveva saputo portare la riconoscibilità di un progetto di gioco dai campi di provincia buoni per la schedina del Totocalcio alle grandi platee abituate alla lente d'ingrandimento delle televisioni. Dagli spalti di bestemmie e tubi Innocenti ai boati dell'Olimpico e di San Siro, autorevole come solo chi non tradisce il suo modo di essere sa mostrarsi, indipendentemente dal contesto. Nato a Napoli e vissuto in Friuli, uomo cosmopolita per forza di cose e doppiamente di frontiera; con l'Adriatico di Pescara, mare o stadio che fosse, più approdo che semplice porto, a più riprese e con intervalli di esperienze su e giù per un'Italia: Napoli, Perugia, Udine, Ancona; senza tenere il conto del dare e dell'avere tra esoneri e promozioni, diffidenze e consensi, estimatori e detrattori. Sempre con le pagine degli amati Brecht e Sartre in valigia e con qualche direttore sportivo da maledire; con quell'idea di calcio in cui lo schema era solo punteggiatura da quattro - tre - tre e la qualità del piede doveva raggiungere il prima possibile la porta avversaria, mentre la serranda di un bar si alzava o si abbassava, nell'indugio di un'alba o di un tramonto, con il calcio come pretesto per parlare di tutto il resto di un'esistenza metaforizzata dalle vicende del pallone, aspettando un'altra panchina ancora da raggiungere, o sulla quale tornare a sedersi, per rinnovare quel modo d'essere a metà tra pragmatismo e utopia, sempre sulla linea di confine dove abitano quelli che non scendono mai del tutto a patti col denaro, con l'amore o col cielo.

 

 

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Loading...





















Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi