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È inusuale lasciare un’impronta importante nella storia del calcio italiano pur non avendo mai giocato nemmeno una partita con la maglia della Nazionale. Fabio Cudicini c’è riuscito, grazie a un rendimento che, proiettato in crescita costante nel corso degli anni Sessanta, lo spinse a raggiungere i livelli di maggiore eccellenza del calcio italiano ed europeo.

Figlio d’arte (il padre Guglielmo era stato terzino della Triestina a cavallo degli anni Venti-Trenta), Fabio non ebbe per il ruolo una vocazione immediata. I primi passi sui campi di calcio, infatti, li mosse come ala destra ma, vista l’incredibile altezza (191 centimetri che, ai suoi tempi, risaltavano più di oggi, considerando le dimensioni medie degli italiani dell’epoca), il suo approdo tra i pali fu solo una questione di tempo, eventualmente osteggiabile solo da una passione giovanile per il tennis che non venne assecondata fino in fondo. Il suo talento fu evidente ad Alfredo Foni che, ancora liceale, lo voleva all’Inter. Il padre, però, non amava l’idea che Fabio lasciasse Trieste così giovane. L’Udinese, pertanto, divenne il primo sbocco professionale plausibile dopo le prime esperienze formative nella Ponziana. Con i friulani fece il debutto in serie A a ventuno anni prima che la Roma decidesse di acquistarlo.

Il ds Busini intravide in lui la stoffa del campione anche se, nelle prime due stagioni, le sue presenze furono davvero risicate. Davanti aveva Luciano Panetti, che nel 1958-59, annata di arrivo di Cudicini nella Capitale, vinse il Premio Combi, che veniva conferito al miglior portiere della serie A. La porta giallorossa diventa definitivamente sua nel 1960-61, stagione nella quale il futuro Ragno Nero dà il suo sostanzioso contributo alla vittoria della Coppa delle Fiere mentre nel 1964, insieme a Giacomino Losi, alza al cielo la prima Coppa Italia del club giallorosso. Con il capitano, Fabio stringe un rapporto particolare che si allarga alle famiglie: entrambi residenti a Monte Mario, fanno incontrare le rispettive mogli e portano i figli alla stessa scuola. Del resto, per il friulano Fabio, Roma riservò cure particolari sin dai primi giorni. L’ambientamento non fu un problema, facilitato dagli zii che, residenti nella Capitale, lo ospitavano a cena tutte le sere e dall’allenatore ungherese Sarosi, col quale ebbe un buon rapporto. Come detto, dopo i primi due anni di attesa, Cudicini ebbe modo di mostrare appieno tutte le sue doti: portiere essenziale, che lasciava poco spazio alla spettacolarità, aveva anche un ottimo senso della posizione. Di quella Roma che non coltivava grandi ambizioni, Fabio divenne un pilastro inamovibile, che soltanto un episodio imprevisto poteva far cadere. Quell’episodio si verificò sotto la gestione di Oronzo Pugliese, che non gli perdonò un episodio di stizza esibito negli spogliatoi dopo una brutta partita, nella quale era stato proprio l’allenatore a chiedere a Cudicini di scendere in campo nonostante le imperfette condizioni fisiche, che lo portarono a subire un gol evitabile. Il tecnico chiese che il portiere venisse ceduto e, con la morte nel cuore, dopo otto anni di onoratissima militanza, Fabio fu costretto a lasciare Roma.

A quel punto la sua carriera appariva orientata al declino: trentunenne, relegato nella periferia del calcio che conta (i giallorossi lo avevano ceduto al Brescia) e con i primi acciacchi che si facevano sentire, Cudicini sembrava aver cominciato la fase discendente del suo percorso. La vita, però, a volte sa sorprendere oltre l’immaginabile e può portare un portiere, ritenuto dai più sul viale del tramonto, a vincere campionati e Coppe internazionali a ripetizione. A questa inaspettata impennata, Cudicini arriva grazie alla fiducia che ripone in lui un illustrissimo concittadino: Nereo Rocco. Appena tornato al Milan, il Paron chiama Fabio per chiedergli la disponibilità a far crescere il promettente portiere Belli. È l’estate del 1967 e a lui non sembra vero: avere la possibilità di andare in una squadra come quella rossonera, anche se da riserva, è un dono da accogliere a braccia aperte. In realtà, le prestazioni sono così convincenti che, complice un infortunio che colpisce il giovane collega, Cudicini lascia la panchina e si appropria della maglia da titolare da lì alle seguenti quattro stagioni.

Sono anni gloriosi, nei quali si lega inscindibilmente ai grandi successi del Milan: dall’accoppiata scudetto-Coppa delle Coppe del 1968 alla Coppa dei Campioni e l’Intercontinentale della stagione successiva fino alla chiusura con la Coppa Italia del 1971-72, ultimo trofeo di una carriera incredibile. Negli anni milanesi accresce la sua fama, oltre che con i trofei, con prestazioni che valicano i confini nazionali: è proprio durante le trasferte in terra britannica (a Glasgow contro il Celtic nei quarti di finale di Coppa dei Campioni 1968-69, a Manchester contro lo United nel turno successivo) che si guadagna il soprannome leggendario di Ragno Nero, lo stesso riservato a Lev Jašin, indotto dalle strepitose parate che sciorina in quei frangenti unite alla calzamaglia scura che indossava per proteggersi dal freddo. Un appellativo che si affiancava a quelli più prossimi al suo aspetto fisico che gli avevano regalato i tifosi della Roma, Pennellone, e il sommo Brera, che nelle sue narrazioni lo presentava come Stralongo. Sempre nella stagione 1968-69 Cudicini, grazie anche ai compagni della difesa, riesce a stabilire il record di imbattibilità casalinga a San Siro, mantenendo la porta inviolata per 1132 minuti, un primato che resiste ancora oggi.

Nonostante questo profilo, per Fabio le porte dell’Italia non si aprirono mai. La sua sfortuna fu quella di vivere in un tempo in cui i selezionatori azzurri potevano scegliere tra Dino Zoff ed Enrico Albertosi. Al futuro campione del mondo del 1982, Cudicini fece da secondo in una trasferta in Germania Est valida per le qualificazioni ai mondiali del 1970, per i quali venne inserito nella lista dei quaranta selezionabili. Fu il momento in cui riuscì a guardare in faccia la Nazionale, senza poterla toccare, forse unico rimpianto di una carriera comunque straordinaria.
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